“Fammi uno squillo quando arrivi”. Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere da nostra madre? Quante volte lo diciamo ai nostri fidanzati, mariti, figli? Probabilmente anche la mamma di Usani gli ha fatto questa raccomandazione quando è partito. Lei però sapeva che l’aspettava un’attesa lunga e difficile, che in mezzo c’erano il deserto, i trafficanti, l’attraversamento di quel cimitero umano che è diventato il Mar Mediterraneo. Oggi quella chiamata è arrivata: “Ciao mamma, sono in Italia”.Si chiama tracing bus ed è il camper che consente ai migranti di chiamare i parenti in patria e rassicurarli, che il viaggio è passato e sono sani e salvi. Un servizio ideato dalla Croce Rossa Olandese in collaborazione con la fondazione Vodafone Olanda che da metà gennaio è arrivato anche nel nostro paese nell’ambito di un progetto pilota realizzato con Croce Rossa Italiana.“Siamo stati nei principali snodi di transito delle persone migranti, da Ventimiglia a Lampedusa passando per Como, Milano, Taranto, Crotone e altre città della Sicilia” spiega Francesco Montrone del servizio di restoring family links della Croce Rossa Italiana. L’ultima tappa è a Roma, nel campo allestito presso la sede dell’associazione in via Ramazzini. “Abbiamo già fissato un incontro a fine marzo per attivare in modo stabile anche in Italia questa attività che è fondamentale per chi arriva. Basti pensare che in questo periodo abbiamo avuto circa 1.500 chiamate”.Sembra assurdo che in un mondo interconnesso chi parte perda ogni legame con la famiglia: “Quando arrivano in Libia spesso i migranti vengono depredati di tutto quello che hanno. Anche se riescono a portare il cellulare fino in Italia non hanno schede sim adatte e quindi non riescono a chiamare i parenti a casa”. Fare una telefonata in Nigeria o in Siria poi non è così semplice “Il 40% delle chiamate purtroppo non va a buon fine perché in diverse aree non c’è linea a causa delle guerre”.Così un papà siriano continua a provare e provare, mentre i suoi due bimbi di 4 e 7 anni giocano con gli album e i colori che gli hanno dato i volontari della Croce Rossa. Ma da Damasco non risponde nessuno. “Cinque anni fa avevo una vita normale – racconta – ora non ho niente. Ho avuto paura mentre eravamo in mare su un barcone con altre 500 persone. Ringrazio Dio perché ora ho la possibilità di dare un futuro ai miei figli”.“C’è chi riceve buone notizie, come l’annuncio della nascita di un figlio” continua Montrone “E chi purtroppo non riesce a parlare con la moglie e poi scopre da un parente che gli hanno sterminato la famiglia”. C’è chi non ha più notizie di un familiare che è partito e compila il modulo per attivare il servizio ricerche della Croce Rossa. C’è un ragazzo che ha dovuto lasciare in Libia due sorelle e oggi l’ha detto al telefono alla madre. Nello sguardo un dolore troppo profondo da raccontare.C’è un’umanità in movimento che non si arrende ai confini e lotta, perché vuole vivere. E il volontariato che accoglie, conforta, accompagna questi sogni di libertà. Dando a tutti noi la speranza che anche da una sofferenza così grande si possa guarire.Foto: Emiliano Albensi | Croce Rossa Italiana
Rosy D’Elia(6 marzo 2017)