Che tipo di storia può essere quella di una piccola falegnameria che nasce, mentre fioriscono mega centri commerciali di mobili ed utensili a prezzi stracciati?
Che storia è quella di pochi migranti che si mettono a lavorare il legno, mentre l’Italia, l’Europa e il mondo intero non sanno dare risposte all’esodo che coinvolge migliaia di persone? La risposta? Sono storie di ordinaria e quotidiana resistenza. Resistenza alla grande onda, che ha forza d’urto e potenti mezzi pubblicitari e di propaganda per coprire storie come quelle della falegnameria sociale K_Alma.
“È la storia di un antico amore per il legno, di un articolo di giornale, di un viaggio a Berlino per vedere un progetto analogo ed una richiesta di collaborazione non accolta e caduta nel nulla” ci racconta Gabriella Guido, già portavoce di LasciateCIEntrare, oggi una delle responsabili di questa nuova realtà, che vede impegnati migranti e formatori. L’articolo di giornale che ispira questo progetto racconta di alcuni migranti che da Lampedusa erano andati a lavorare nelle terre foggiane, per poi trasferirsi a Berlino “perché avevano capito che in Italia – specifica Guido – la situazione non si sarebbe sbloccata”.
Quella di K_Alma ”è la storia di un’ostinazione, di amici a cui l’idea piace e ti sostengono nel provare a realizzarla. E’ la storia di un workshop fatto a Rovereto nel luglio 2016, di un locale trovato a Roma all’interno di un centro sociale in un momento in cui Roma sarebbe quasi una città da abbandonare”. A Rovereto – in Trentino – Gabriella sta tre giorni a costruire sedie e tavoli. Intorno a lei una rete ben presente Cinformi, Comune di Rovereto, Provincia di Trento e soprattutto l’associazione artigiani del legno del Trentino. Pian piano il progetto si concretizza e trova spazio, quello fisico del Villaggio Globale, a Testaccio, mentre affiora l’idea di fuggire da una città “dove le politiche di inclusione sociale non funzionano, come il sostegno alle persone svantaggiate ed indigenti. Dove non esistono spazi per la formazione o semplicemente per l’aggregazione. Ci sono solo musei a pagamento, negozi e bancarelle. Gli unici spazi di coesione sociale – i centri sociali – sono tutti a rischio chiusura”.
La realtà della falegnameria sociale K_Alma è composta da cinque persone con mansioni diverse. C’è Sule che ha 28 anni e viene dalla Nigeria. Carfà che arriva in Italia dalla Guinea Bissau ancora minorenne. Cheik che invece di anni ne ha 27 ed è del Senegal. Bassa che dal Gambia attraversa la Libia ed il Mediterraneo ancora minorenne, e che come tutti spera in un futuro diverso per sè in Europa. Solo uno di loro ha fatto un mestiere simile: tappezziere-falegname. Gli altri hanno studiato, ma non tutti sono riusciti a terminare gli studi. Due di loro sono ospiti di uno S.P.R.A.R., gli altri girovagano. Ecco perché la falegnameria rappresenta l’occasione della vita: l’inserimento professionale e sociale.
E poi c’è il mastro – il capo bottega – Edoardo Pedio. Il mastro falegname umbro che insegna a lavorare il legno. Edoardo ha girato il mondo, dopo aver studiato musica, ha ereditato il mestiere dal nonno e poi dal padre. “Neanche lui si è spaventato. Ha ascoltato il progetto, e ha detto di si. Insieme a molti amici che ci credono e vogliono sostenerlo”. Le altre realtà interessate a sostenere il progetto sono lo Sportello Lavoro della Tavola Valdese, il Programma Integra, l’associazione Parsec e la Fondazione Erri De Luca.
Intanto si incontrano tutti una volta a settimana “speriamo di aumentare presto gli appuntamenti – dichiara Gabriella Guido -, questo vorrebbe dire che saranno aumentate le commesse”. Ed intanto mostra soddisfatta una delle prime importanti commesse. L’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ha commissionato loro dei pannelli per una mostra sulla Resistenza e l’Antifascismo.
Tra i progetti futuri “stiamo pensando ad un lavoro per Casetta Rossa a Garbatella. Avviare in pianta stabile i lavori di falegnameria e dare l’inizio a dei corsi che a settembre potrebbero iniziare a Programma Integra” racconta Gabriella.“Saremmo felici di ospitare altri falegnami e altri richiedenti asilo. Non solo. Le porte sono aperte a tutti, anche a disoccupati e inoccupati italiani. Addirittura a chi, magari in pensione, avesse voglia di mettersi in gioco”. Intanto l’appello è rivolto alle Istituzioni, affinché sostengano questo progetto, alle aziende che potrebbero guardare a noi come incubatore per offrire loro manodopera preparata, ma anche ai singoli cittadini. “Che vengano a vedere cosa facciamo” ribadisce Gabriella. Che magari si innamorino di questa storia di resistenza, che aggiunga alla qualità di uno sgabello o un tavolo, quel valore immateriale che ne farebbe un marchio di successo. Il marchio di chi non si arrende ad una città che respinge, ad una corrente che va in un’altra direzione.
Fabio Bellumore
(07 giugno 2017)