“Verso una politica nazionale ed europea in materia di integrazione”

Liberi Nantes, Pietralata. Foto di Giuseppe Marsoner.

Definire l’integrazione è difficile quanto necessario: il fenomeno migratorio, ormai lontano dal carattere di eccezionalità, è diventato un fenomeno strutturale, al punto da rendere necessario interrogarsi su una politica comune, sia nazionale che sovranazioanale. Come ha ricordato il rettore de la Sapienza Eugenio Gaudio, durante il convegno dello scorso 5 giugno “Verso una politica nazionale ed europea in materia di integrazione”, organizzato con il patrocinio della Fondazione Roma Sapienza e in collaborazione con il Dottorato in Storia d’Europa, il concetto di integrazione non è nuovo per il nostro Paese “in Italia ci sono più geni greci che in Grecia; si trovano più geni tedeschi di quelli che si trovano in alcune regioni della Germania. Niente di nuovo, dunque. Ma è necessario adottare un approccio multiculturale al fenomeno”.

Convegno “Verso una politica nazionale ed europea in materia di integrazione”. Foto di Andrea Carteny. Fonte: twitter

In Italia i nuovi arrivi sono “necessariamente misti”, ha sottolineato Giandonato Caggiano (Università Roma Tre): migranti economici e richiedenti asilo sono due facce della stessa medaglia, che si confrontano con la solitudine dei Paesi, nei quali la competenza in materia di integrazione è quasi esclusivamente nazionale. Spesso chi arriva deve scontrarsi con prove linguistiche complesse, come nel caso della Danimarca e con difficoltà legate al livello di istruzione: come ha analizzato Salvatore Strozza “le donne hanno una propensione maggiore all’integrazione, così come chi ha titoli di studio più alti”. Punto centrale sono le seconde generazioni: “hanno tassi di scolarità più bassi degli italiani, spesso scelgono percorsi scolastici di ripiego, come istituti professionali e hanno un forte ritardo scolastico. Tutti segnali di allarme che riguardano le sfide che bisogna affrontare”. Il problema dell’istruzione e della lingua sono perciò fondamentali: “l’esigenza primaria del migrante è quella di conoscere la lingua del Paese” (Elisabetta Bovino, Università Roma Tre). Ed è una domanda che incontra una risposta sempre più positiva: “cresce il numero dei corsi L2 sia nel settore pubblico che privato”, così come la richiesta di diventare insegnante di italiano L2, sia da parte dei giovani che dei docenti in attività o in pensione.

Ma l’integrazione conosce anche storie positive, come quella raccontata da Domenico Lucano, sindaco di Riace, che ha visto l’immigrazione come una risorsa, per ripopolare i luoghi che si stanno spegnendo a causa della crisi: “il nostro paese è un paese con problematiche antiche e nuove. Sono un sindaco e dico quello che avviene nella realtà: il nostro obiettivo è fare bene per le persone che vengono dal mare. Non mi sono mai girato dall’altra parte.” Oggi Riace è un modello per tutto il mondo, che ha saputo dimostrare come l’integrazione sia una risorsa e una risposta e non un problema.

 

Elisa Carrara

(9 giugno 2017)