Le storie dietro e dentro lo sgombero di Piazza Indipendenza

“Sono arrivati senza avviso, io dormivo. Ci siamo spaventanti perché erano in tenuta antisommossa, ma non abbiamo reagito, abbiamo preso i documenti e siamo andati alla Questura per essere identificati”, così racconta Bereket il momento dello sgombero. “Una bambina ha chiesto spaventata: quando c’è una persona cattiva dobbiamo chiamare i poliziotti, ma quando c’è un poliziotto cattivo chi dobbiamo chiamare? Noi non sapevamo cosa risponderle” prosegue. “Tutto era ok perché abbiamo regolare permesso di soggiorno per protezione internazionale. Uscendo dalla Questura ci hanno salutati e siamo rimasti in mezzo a una strada: non abbiamo più una casa. Sono 4 anni che siamo qui: per 4 anni cosa stavano facendo? Perché non hanno pensato a una soluzione alternativa prima di buttarci per strada? Io lavoro all’Olimpico, ho un piccolo contratto con una cooperativa per vendere le bibite durante la partita della Roma, soltanto la Roma. Non ho assicurazione (mostrandoci una ferita sulla spalla dovuta al peso delle bibite che porta), se una bibita si rovescia, la pago io. Di tutto il guadagno io prendo il 12%. Se vendo bibite per 100 euro guadagno 12 euro. E la Roma gioca una volta ogni 15 giorni. Non mi importa della fatica, ma chi non ha lavoro non ha vita: è la base della vita, la motivazione. Anche la polizia fa il suo lavoro, sono dipendenti, eseguono gli ordini, quindi protestare con loro non serve, dobbiamo parlare con il prefetto”. Intanto la fila per entrare a raccogliere le proprie cose rimaste dentro prosegue. Sotto il sole, silenziosamente e con tanta pazienza, uomini di diverse età e alcune donne aspettano. Sono in fila dalle 9 dopo il risveglio in piazza, dove circa 200 persone hanno passato la notte. Gli altri hanno trovato ospitalità presso amici e conoscenti. Ad alcune donne con bambini è stato permesso di dormire nel primo piano dello stabile sgomberato. C’è ancora tanta confusione su chi abbia ordinato lo sgombero.  “Li hanno mandati via così senza dire niente, è disumano. Abito qui in Via dei Mille” commenta una signora venuta a chiedere informazioni, preoccupata ”Sono persone tranquille e pacifiche, non hanno mai dato fastidio in alcun modo. Mi dispiace: ora dove andranno? Si sa? Hanno già una sistemazione? Non capisco perché li abbiamo mandati via così”. “Ho due bambine piccole, di 2 e 4 anni, che sono dentro con mio marito. Io sto andando in ospedale per la visita per il mio diabete. Quattro volte al giorno devo prendere le fiale di insulina e così mi permettono di entrare perché sono dentro un frigorifero”, racconta Sannait stringendo la sua cartella medica. Lei come la maggior parte degli 800 occupanti lo stabile sgomberato sabato 19 Agosto in Piazza indipendenza, sono provenienti dall’Eritrea. “Nel nostro paese c’è la guerra e abbiamo regolare permesso di soggiorno con protezione internazionale. Per noi va bene tutto, cerchiamo anche una casa condivisa perché sappiamo che anche gli italiani sono in difficoltà. Io lavoro facendo le pulizie quando capita e dove capita, mantenendo mio marito e i bambini. Per soli 160 euro al mese a volte. Abbiamo provato ad andare in Germania ma ci hanno rimandato qui perché siamo stati identificati in Italia. Così ci rimbocchiamo le maniche e facciamo il possibile”. Poi guardando le finestre aperte del primo piano prima di andare in ospedale “Le bambine sono dentro con il papà oggi, ma non so cosa sarà domani, neanche oggi pomeriggio”. La piazza si riempie: la notizia di un incontro fra Padre Mosè Zerai portavoce, insieme a 3 rappresentanti degli sgomberati, e l’assessora Baldassarre, apre nuove speranze. Insieme si attende. Un ragazzo rientra da lavoro, dai suoi due turni di notte alla TNT di Via Salone, è stanco ma non ha tempo di dormire, cerca soluzioni. I bambini salutano dalle finestre cantando e dando il ritmo alla piazza in attesa sempre più ghermita di curiosi, stampa e rappresentanti di associazioni e ONG. Una volontaria attivista presente fin dal primo giorno segnala le persone con maggiori fragilità cercando soluzioni per rendere meno gravosa la situazione: docce, sistemazioni per famiglie, piccole necessità per chi, dall’oggi al domani, non ha più un tetto sulla testa sotto il caldo cocente di Roma in agosto “c’è un ragazzo senza una gamba e con una protesi e un altro senza un piede con schegge di mina nella gamba e nel torace”. Andrea Iacomini, portavoce UNICEF Italia, ricordando che l’assessore Baldassarre è un’ex-dipendente UNICEF, commenta “vogliamo sapere all’interno di questa struttura come sono le condizioni igienico-sanitarie perché non lo sappiamo e ci sono donne e bambini. Non ci fanno salire. Il nostro appello è: proteggere i bambini e le loro mamme in ogni situazione. Questo sgombero deve avere una soluzione e un progetto naturalmente successivo. Io mi auguro la Baldassarre ricordi le sue battaglie e che venga a sincerarsi di persona della situazione insieme alla sindaca Raggi. Fra l’altro sono tutte persone che hanno propri diritti, permessi di soggiorno regolari, status di rifugiato, quindi non capisco come mai non si trovi una soluzione. La Convenzione dell’89 sui diritti dell’infanzia, che la Baldassarre conosce bene, prevede di proteggere i bambini ovunque essi si trovino: Roma non può accettare una condizione del genere. Vogliamo poter entrare anche con le altre ONG e con il Sindaco, l’assessore alle politiche sociali e le istituzioni per capire insieme qual è la situazione e trovare soluzioni”. Arriva poi la notizia della fine dell’incontro al quale, si apprende, non erano presenti né la Baldassare, né la Sindaca Raggi, ma una rappresentanza volta a capire quali siano le persone più fragili e costituire poi un tavolo di interventi. Che cosa sarà di tutti gli altri? Non si ha ancora risposta.

Silvia Costantini

(22 agosto 2017)

Foto di Marcello Valeri: galleria fotografica