“Il titolo che abbiamo scelto per la XX edizione del Convegno Nazionale dei Centri Interculturali, il cammino si fa camminando, vuole dare l’idea di un cantiere sempre aperto, dove condividere e scambiare buone pratiche, materiali didattici, progetti che sono riusciti e hanno avuto esito positivo” così Graziella Favara, direttore della rivista “Sesamo. Didattica interculturale” e membro dell’osservatorio nazionale e del comitato scientifico sull’integrazione degli alunni stranieri del MIUR, presenta il convegno che si aprirà il 20 ottobre a Ferrara.Due giornate articolate in 5 sessioni, ognuna caratterizzata da una parola chiave, 3 laboratori operativi e di partecipazione, e un momento di plenaria. “Il senso dell’incontro e anche dell’organizzazione è che da un lato si devono mettere in comune le buone pratiche, con le cose che funzionano e hanno funzionato, e dall’altra parte ci sia un momento di sosta e di riflessione per guardare avanti. Condividere sarà anche la parola che metterò al centro della mia relazione in plenaria”.I dati del MIUR parlano chiaro: oggi solamente il 20%, ossia 1 scuola su 5, delle scuole dall’infanzia ai licei, non ha stranieri.“Questo vuol dire che la stragrande maggioranza delle scuole oggi è di fatto multiculturale. Allora come può funzionare una scuola multiculturale per tutti, per i ragazzi che hanno una storia familiare migratoria ma anche per gli alunni autoctoni? Grazie a tre parole:
- qualità educativa per tutti, ossia una scuola multiculturale non deve abbassare il tiro anzi, deve alzare le aspettative;
- innovazione, una scuola dove si sperimenta una didattica più viva, coinvolgente e più inclusiva, quindi sguardi diversi, ridondanza di quel che si trasmette con un processo a spirale
- riconoscimento delle competenze di ognuno. I ragazzi e i bambini stranieri hanno sì dei bisogni linguistici ma anche delle competenze, dei saperi e dei talenti.”
In un ambiente multiculturale è fondamentare parlare di didattica dell’inclusione dal punto di vista dell’integrazione scolastica. “Imprescindibili sono alcune consapevolezze da parte di tutti coloro che lavorano nella scuola e cioè, per esempio, che i bisogni linguistici di bambini e ragazzi stranieri sono bisogni transitori e specifici, ma non speciali. È importante distinguerli da quelli che sono i bisogni educativi speciali, perché altrimenti si propongono delle etichette che continuano nel tempo. Allora se devo indicare una cosa davvero imprescindibile, è sicuramente l’attenzione alla lingua”.Il rischio in un inserimento linguistico, sottolinea la Favaro, è che vinca “il modello cosiddetto di transizione, passo da una lingua all’altra abbandonando la prima. Quello che invece sarebbe positivo, ed è un traguardo che ci possiamo porre, è il modello aggiuntivo, mantengo la mia lingua madre (di intimità, di affetti, del gioco e del calore familiare) e aggiungo l’italiano di qualità. Trasmettere e ampliare nel tempo la lingua madre è compito delle famiglie e delle comunità di appartenenza. La scuola ha il compito di riconoscerla. Intanto di conoscerla: di sapere che i bambini che abbiamo davanti hanno una lingua madre, a volte anche due, che è un’opportunità e una ricchezza per chi la parla, ma anche per tutto il nostro Paese perché il plurilinguismo è un elemento di forza per tutti”.Il titolo del XX Convegno “Il cammino si fa camminando” si declina al noi di un legame forte fra territorio e scuola: “È una condizione imprescindibile che la scuola e la città procedano insieme, perché la scuola non è un’isola o un mondo a parte, ma sta dentro una comunità, un quartiere, una città un piccolo borgo. Quindi il legame forte fra territorio e scuola, tanto più in questo momento in cui la scuola a volte vive una scarsità di risorse, è un dato importantissimo. Come esempio di buona pratica a Ferrara verrà presentato un protocollo cittadino di tutte le scuole della città sull’accoglienza e l’integrazione, sottoscritto e condiviso da tutti, e quindi è come se si fossero assunti insieme dei traguardi, degli impegni reciproci delle modalità di collaborazione per una scuola della comunità e che fa bene a tutta la comunità. C’è questa frase importante che dice “la scuola è figlia della società ma è anche madre della società” in questo caso il legame fra scuola e città è fondamentale per creare questo doppio passaggio”.In un contesto multiculturale è facile che le differenze diventino divisioni, quindi “sottolineare le corrispondenze e le analogie, che ci rendono simili, non identici, ma simili nella nostra singolarità, più che le differenze che rischiano di diventare un catalogo delle culture irrigidito e stereotipato”, è fondamentale soprattutto in questo momento di distanze e di fratture.Venti anni di cammino, hanno delineato un percorso fatto di luci e ombre. “Le luci sono che oggi un insegnante, un educatore, una scuola ha a disposizione, se vuole guardare e vuole formarsi, più materiali e strumenti e quindi può avere più consapevolezze. Abbiamo inoltre dalla periferia sperimentato molte buone pratiche e strumenti. Le ombre sono le difficoltà legate al clima culturale e sociale nel quale si agisce che non è molto propizio a questi temi, è un clima più di timore e di distanza, dove la scuola rischia di essere un po’ sola”.Per superare le ombre è importante l’accoglienza, nel senso più generale e inclusivo “io credo che la vera sfida sia guardare nella doppia direzione, avere uno sguardo largo, verso chi viene accolto e verso chi accoglie. Perché è importante organizzare dispositivi, materiali progetti e azioni per accogliere, ma è importante anche avere sempre l’attenzione al polso emotivo della comunità che accoglie, che può essere la classe, la scuola, il quartiere. Non bisogna perdere di vista ma avere grande attenzione alle relazioni, agli scambi e a quello che succede nelle due direzioni di chi accoglie e di chi è accolto.”
Silvia Costantini
(18 ottobre 2017)
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