Pace e Amore al teatro dell’Opera delle marionette di Tehran, fuori le proteste

Io voglio cantare così come fanno gli uccelli, senza preoccuparmi di chi ascolta o di che cosa pensi”.

In questa frase del poeta e mistico persiano Rumi, tra i più amati dal popolo iraniano, è racchiuso il significato simbolico del teatro delle  marionette dell’era Qajara messo in scena in questi giorni a Tehran dal regista e compositore curdo Behrooz Gharibpour.

Behrooz Gharibpour con le sue marionette

Ferdowsi, Hafez, Sa’adi o Molavi – Rumi sono il D.N.A. dell’Iran – spiega Gharibpour – nel pensiero dei grandi poeti si può trovare tutta la nostra storia passata, ma anche il nostro presente e il futuro e per questo motivo, anche in questi giorni di scontri, abbiamo avuto la sala del teatro piena di gente, pur essendo nel centro di Tehran”.  

Un gruppo di marionette, parte della collezione esposta nel museo all’interno del Teatro Khayam

Da 40 anni Gharibpour, curdo di nascita e italiano per i suoi studi all’ Accademia di Arte Drammatica, Silvio D’Amico, fa rivivere i valori e i principi dei grandi poeti e filosofi iraniani come  Sa adi, Ferdowsi, Hafez  con il suo teatro lirico,  inserito dall’Unesco tra le  grandi opere culturali mondiali.

Sul palcoscenico del Teatro Khayam fondato da Gharibpour nel ’91, sulle ceneri dell’ ex mattatoio di Tehran, le marionette declamano i versi dei poeti che parlano in prevalenza di pace e di amore; si muovono flessuose, come se fossero veri attori, anche per l’effetto ottico della distanza che ne aumenta le dimensioni; sono vestite con strepitosi e sfarzosi abiti realizzati nel laboratorio di sartoria che si trova all’interno del Centro Culturale e arrivano a essere anche 250 tutte insieme in scena.

Un ” esercito” di 250 marionette

Due ore senza sosta con cambi di scena continui  che accompagnano il canto degli artisti e del coro. In tutto 35 persone, in massima parte donne, che compongono l’ Aran Puppet Theatre Group fondato dal carismatico Gharibpour.

Gli sfarzosi e colorti costumi di scena

Nei giorni delle proteste, era in programma nel calendario già fissato da tempo, l’opera del  poeta e filosofo Sa’adi. Un maestro del pensiero il cui invito ad avere compassione per il dolore umano, si trova inciso sulla targa posta all’ingresso della Sala delle Nazioni dell’Onu a New York. “Gli esseri umani – si legge sulla targa che riporta un brano del poema “Gulistan” – sono membri di un tutto, la creazione di un’essenza e un’anima. Se un membro è afflitto dal dolore, gli altri membri saranno a disagio. Se non avete compassione per il dolore umano, non potrete mantenere il nome di essere umano”. Un linguaggio universale quello degli antichi filosofi e poeti  – secondo Gharibpour – che viene compreso anche dai giovani pur se scritto in antico persiano.

“La lingua che io utilizzo – spiega –   è strettamente legata alla visualizzazione delle scene e i testi delle poesie, insieme alla musica persiana sono alla base delle mie composizioni. Ma quando comincio a scrivere il libretto di un’opera io creo un nuovo testo. Per esempio nella recita che si svolgeva prima di quella attualmente in scena di Sa adi,  su 26 mila poesie di Rumi che ho letto, ho scelto circa 30 righe e ho aggiunto brani di altri poeti che si adattassero di più alle diverse scene. Da questo mix di testi, nasce anche la mia musica”. 

A letteralmente “tirare i fili” dietro le quinte, tutte donne.

Cantanti e marionettisti ringraziano insieme a Gharibpour che si inchina di fronte al suo pubblico

I componenti del mio gruppo – aggiunge il regista – sono tutti giovani. Tutti hanno frequentato per due anni il nostro laboratorio dove si insegna l’arte del teatro delle marionette. Ma su 35 in tutto, 30 sono donne perché giocando con le bambole, acquisiscono sin da bambine una manualità che non è facile riscontrare negli uomini. Gli uomini invece cantano”.

Nel 2008 Gharibpour  ha messo  in scena al Teatro Argentina di Roma, l’opera epica Rostam e Sohrab e al Quirino l’opera Ashura, riscuotendo grande successo di critica e di pubblico. Nel  2015 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro dall’ambasciatore italiano a Tehran, Mauro Conciatori, per il suo lavoro di interazione culturale fra Iran e Italia.

Un’altra scena di un’opera in programma al teatro Khayam

E’ da questa consuetudine con l’Italia che sorge spontanea la domanda a proposito di un suo ritorno nel nostro paese. Dipende se ci invitano – conclude Gharibpour –  noi siamo più di 30 artisti e abbiamo bisogno di uno spazio grande, come quello del Teatro Argentina o del Quirino e dobbiamo portare e montare attrezzature sceniche molto pesanti… non siamo una scelta per un periodo come questo di “fast food”.

Federica Costantini
(9 gennaio 2017)

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