Il ragazzo seduto di fronte alla lavagna ha più o meno vent’anni e viene dal Burkina Faso: è in Italia da 5 mesi e quasi ogni giorno viene a Casa Africa a studiare l’italiano. Schiena dritta, testa china e un quaderno a righe aperto su una pagina completamente bianca, immobile grazie a una penna strategicamente posizionata. Per arrivare nella nostra penisola ha affrontato un viaggio lungo e pericoloso. Davanti alla mappa dell’Europa non riesce a trovare il suo Paese perché “l’Africa è troppo grande”, dice con un po’ di vergogna, ma sa indicare bene la rotta che ha seguito per arrivare fin qui. “Ho attraversato il deserto. Poi dalla Libia sono arrivato in Italia” racconta abbassando la testa e la voce, come se le parole fossero circondate da una sorta di pudore per il suo passato. Un passato forse doloroso, ma che rimane avvolto in un silenzio rispettoso, quasi sacro. Cosa c’è invece nel suo futuro? Non ha dubbi: un lavoro. O, almeno, la speranza di trovarlo. Proprio per questo si impegna a studiare: “Nel mio Paese lavoravo come autista, e qui in Italia vorrei fare il cuoco”.Anche per i ragazzi dell’Istituto Professionale “G.Marconi” sede IIS “Acciaiuoli-Einaudi” di Ortona, il futuro è fatto di speranze: sono arrivati qui a Casa Africa grazie al progetto Erasmus Plus “Fight Against Discrimination and Racism”, un programma che vede coinvolti 21 studenti delle scuole superiori, 6 italiani e 15 europei. La mattina del 23 marzo sono venuti a conoscere le attività di questa Onlus, nata nel 2009, e che ha il privilegio di accogliere stranieri e migranti in pieno centro a Roma, a due passi da Piazza di Spagna. Non importa quale sia il loro Paese d’origine e neppure che siano maturandi di Ortona o studenti greci o di Casa Africa: per tutti loro il futuro è sinonimo di lavoro. Arrivano puntuali i ragazzi di Erasmus Plus e si siedono per assistere alle lezioni. Si presentano uno ad uno agli studenti di Casa Africa, senza nessuna difficoltà. Indicano sulle mappe i loro Paesi d’origine (Grecia, Turchia, Romania, Repubblica Ceca): non parlano una parola d’italiano, ma in pochi minuti ci si ritrova a conversare di piatti tipici e tradizioni. Cosa si mangia in Perù ce lo racconta uno studente peruviano che viene ogni giorno a scuola: il ceviche, a base di pesce e limone. Troppo leggero per i ragazzi greci, che rivendicano la bontà della pita e dello tzatziki. Si passa a parlare di kebab e, ovviamente, della piadina nostrana. E allora si discute di regioni, di quanto l’Italia sia diversa, a seconda che ci si sposti sulla costa o nell’interno, al nord o al sud; di quanto siano importanti le tradizioni e la cultura. Stessa cosa per la Grecia o per il Burkina Faso, o per qualunque Paese si nomini. Quando chiedo cosa vogliono fare da grandi le risposte arrivano con una sicurezza disarmante: chi vuole entrare in polizia, chi studierà legge, chi economia. I ragazzi dell’Abruzzo spiegano cosa si studia nel loro Istituto e perché: raccontano del loro laboratorio e di cosa c’è al suo interno. Parole difficili per gli studenti di Casa Africa e allora ci si aiuta con immagini e riferimenti semantici: cosa c’è in un laboratorio? Cosa lo distingue da un ufficio o da un ospedale? Non solo storie di vita ma anche un’analisi delle tecniche per imparare una lingua. Perché, in fondo, a Casa Africa si fa proprio questo: ogni giorno insegnanti e volontari dedicano ore della loro vita all’apprendimento e all’integrazione. Ci si trova davanti a realtà diverse e a culture diverse: chi è scappato da una guerra e si ritrova qui senza niente, chi invece un lavoro già ce l’ha; chi vuole continuare gli studi, chi a scuola non c’è mai andato e chi nel suo Paese ha una laurea che in Italia non viene riconosciuta. Motivi diversi per cui sedersi allo stesso banco ogni giorno alla stessa ora, ma che trovano nell’accoglienza e nella voglia di costruire un futuro un punto in comune.
Elisa Carrara
(28 marzo 2018)