Da studioso delle dinamiche di gruppo, si è interessato molto anche ai problemi legati all’immigrazione: la solitudine fra i primi e quel bisogno di riconoscersi in un insieme che a volte spinge e scivolare verso forme di aggregazione negative come il traffico della droga e la prostituzione. Deluso degli ultimi risultati elettorali, dichiara la sua preoccupazione per il binomio immigrazione-paura che ha portato alla vittoria una classe dirigente che non sa nulla di politica. “Da cattolico, e non solo, seguo molto l’esempio e la dottrina di Papa Francesco, che parlando sociologicamente è il vero politico. Lui per primo ha sottolineato quanto sia pericolosa questa politica della paura verso il diverso”. Come vincere questa paura? Valenzuela trova la risposta nella conoscenza e nelle origini della sua cultura, fondata su un forte senso comunitario dove pronome più usato è il “noi”. “Questo dilagante senso di paura è un problema molto complesso, la nostra vita è un processo, per vedere degli sviluppi bisognerà aspettare la prossima generazione, ma lavorare da adesso. Soprattutto sul piano psicologico nelle scuole e sul piano politico con una formazione migliore dei dirigenti politici. È fondamentale il dialogo sul piano culturale e sociale. Nei miei anni di insegnamento ho avuto 150 alunni provenienti da 5 continenti: il confronto e la conoscenza vincono la paura del diverso”.La lingua quechua, di cui il prof. Valenzuela è esperto e traduttore, è in realtà una famiglia di lingue che abbraccia l’Equador, il Perù, la Bolivia, la Colombia, parte del Cile e l’Argentina ed è parlata da undici milioni di persone. “ Sto collaborando con il Pontificio Consiglio della cultura che sta preparando un dizionario culturale-religioso per l’America Latina. Coordino la parte che riguarda il Perù. E curo una pubblicazione in italiano sui primi missionari che sono andati in Perù e hanno pregato in lingua quechua”. Inoltre Valenzuela ha scoperto nell’Archivio Segreto del Vaticano una bolla papale scritta in quechua e l’ha tradotta.Le sue giornate si dividono fra insegnamento e ricerca, passando molte ore nelle biblioteche di cui rivendica fortemente l’importanza, “nel tempo le biblioteche si stanno svuotando. Gli studenti pensano di trovare tutto su internet. Si rinchiudono in casa davanti a uno schermo, non socializzano né si confrontano fra loro. Mancano di creatività. Vedono nella tecnologia la soluzione a tutto anche nei rapporti affettivi. Io preferisco incontrare le persone, prendermi il tempo per ascoltarle guardandole negli occhi. Noi andini abbiamo una grande sensibilità nel capire se un’amicizia è sincera o fittizia. Ho molti amici italiani, ormai mi sento romano”.Il professor Valenzuela non ha dubbi su cosa farà del suo futuro: “continuerò a viaggiare nella ricerca”.
Silvia Costantini(17 marzo 2018)
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