Il silenzio che offende – L’alfabeto delle parole che ci mancano è un progetto della redazione di Piuculture nato dalla considerazione di quanto le parole siano importanti, esprimano e formino il pensiero, rivelino e modellino comportamenti. Dobbiamo essere preoccupati di quel linguaggio fatto di povertà di pensiero, carico di violenza e stereotipi, che domina il dibattito pubblico sull’immigrazione e non solo.Da qui è partita l’idea di ricercare parole il cui uso possa costituire una barriera al dilagare di quel linguaggio. Ricerca che ha portato alla costruzione collettiva di un Alfabeto ragionato delle parole che circolano poco nella narrazione delle migrazioni. L’ambizione è di contribuire a una campagna culturale in cui coinvolgere scuole, associazioni, testate giornalistiche.I primi a collaborare sono stati gli studenti della III E del liceo Pilo Albertelli che hanno realizzato delle interviste parallele, a un italiano e a uno straniero, sulle parole scelte per comporre l’alfabeto delle parole che ci mancano. Pubblichiamo settimana dopo settimana le interviste realizzate, oggi la parola dell’alfabeto è Zolla, ne parlano Bakary Camara, maliano, e Bruna Fioramonti, italiana, intervistati dagli studenti Svevo d’Offizi e Matilde Minenna.
Nella sua modestia è una parola fondamentale per la vita: senza quel pezzo di terra che viene sollevato per lavorare il terreno agricolo non potremmo vivere. Cambiamenti climatici e accaparramenti delle risorse naturali da parte degli Stati più forti rendono precario quel pezzo di terra e con esso il futuro di una parte dell’umanità. Oltre a prestare attenzione all’origine più o meno controllata del cibo che arriva sulle nostre tavole, dovremmo conoscere anche come viene prodotto quel cibo e capiremmo meglio il mondo in cui viviamo.
Zolla, elemento di congiunzione tra cultureBakary Camara, 28 anni, viene dal Mali e da 5 anni vive in Italia. Ha partecipato a varie esperienze di volontariato presso il servizio civile internazionale: a Calcata (in provincia di Viterbo), poi in Ungheria e una terza volta in Sicilia.Per lui, il volontariato è stata una buona occasione per perfezionare la conoscenza dell’inglese, sviluppando la capacità di parlare davanti ad un pubblico, e l’ha trovato anche un buon mezzo per conoscere culture, molto diverse tra loro.Cosa le fa venire in mente la parola “zolla”?La parola zolla mi fa pensare alla terra. Nel Corano, fin da piccoli, ci insegnano a dare una definizione di essere umano e a dire di che cosa è fatto: mi hanno insegnato che l’essere umano viene dalla terra che viene poi modellata nelle mani di Dio. Quindi, secondo me, la terra ha un significato molto importante perché è ciò di cui siamo fatti ed è ciò di cui torneremo ad essere fatti.Ha qualche ricordo collegato a questa parola?Mi viene in mente il colore della terra; per me la terra è di tanti colori diversi, un po’ come è la pelle delle varie popolazioni.La zolla è un pezzo di terra, qual è la prima cosa che le viene in mente pensando alla sua terra?Penso al cous cous che è fatto di miglio: il miglio può essere diverso esistendo di tante forme e colori, proprio come la terra.Qual è la traduzione di zolla nella sua lingua?Si dice dorè.Pensa che la parola “zolla” sia intesa diversamente in Italia rispetto al Mali?Possiamo anche intenderla diversamente, è importante conoscere la propria cultura ma è altrettanto importante aprirsi alle altre culture. Per riuscire ad arrivare ad un buon risultato, ognuno dovrebbe esporre il proprio modo di vedere le cose e lavorare anche accettando e apprezzando le diversità di opinione di ciascuno. Vorrebbe aggiungere qualcosa alla nostra definizione di “zolla”?Mi viene in mente che in Africa quando sei piccolo devi essere ben “modellato”, come una zolla di terra, dai tuoi genitori, per crescere con dei buoni principi.
Zolla, la terra e il confine tra malavita e futuroBruna Fioramonti è una volontaria dell’associazione laica “casa dei diritti sociali”, per cui insegna l’italiano di livello A1 ai migranti, tra le diverse esperienze è stata anche aiuto regista per uno spettacolo teatrale. Per dieci anni ha vissuto con suo marito in Umbria, dove è stata molto a contatto con la natura e ha sperimentato un modo di vivere più rurale. Ha, inoltre, un passato nell’editoria, una passione per la scrittura e un gatto, Turbo, di cui è follemente innamorata.Cosa le richiama la parola “zolla”?Mi richiama subito la terra, quindi la campagna, il lavoro, ma anche altre due immagini: la prima mi rimanda agli immigrati che, arrivati in Italia, vengono sfruttati nei campi dal caporalato e dalla mafia, e le baraccopoli, che tutti fingono di non conoscere. Invece nella seconda vedo il futuro, perché la terra è la madre di tutto, e risorsa senza la quale non potremmo vivere.Associa qualche ricordo a questa parola?Sì, mi ricorda la mia casa in Umbria e mio figlio, che lì è cresciuto molto a contatto con la terra, vedendo da vicino gli animali, coltivando, imparando quanto lavoro e fatica possa dare la terra, ma anche quanto sia bello raccoglierne i frutti.Questa parola è intesa diversamente a seconda del Paese in cui ci si trova?Penso ci sia una differenza, perché molti dei nostri alunni conoscono gli animali, la terra e sanno cosa voglia dire vivere a contatto con loro. Ma sanno anche che la loro è una terra molto più secca e faticosa, che spesso dà molto lavoro da fare, ma poche risorse.La parola zolla richiama la terra: lavorarla insieme può creare un momento di contatto tra persone che vengono da diversi Paesi?No, perché le persone che vengono qui hanno spesso sofferto nel loro Paese a causa della stessa terra: sono state sfruttate o comunque, le famiglie che avevano una piccola proprietà riconoscono in essa una fatica, non una ricchezza. Perciò vengono qui, sperando di trovare un lavoro che li porti lontani dalla terra; invece si ritrovano molte volte a coltivarla, per giunta proprio nei luoghi in cui vengono più sfruttati, lavorando per il caporalato e vivendo nelle baraccopoli. Quindi non credo che nel loro lungo viaggio abbiano in mente la zolla, ma la città.La parola “zolla” può richiamare un senso di appartenenza?Per me sì, non per quelli che vivono in città, ma lo richiama per chi è legato fisicamente alla propria terra, i contadini, che costituiscono la maggior parte degli italiani.Qual è la prima cosa che le viene in mente pensando alla sua terra, all’Italia?Il mare, perché è luce, colore ed anche apertura.Il senso di appartenenza può portare alla discriminazione?Forse sì, ma dipende dalla cosa a cui si sente di appartenere. Credo siano i giovani i più portati a discriminare perché i legami che li uniscono allo Stato o alle loro stesse famiglie diventano sempre più sottili, e allora è più facile riconoscersi in altre cose più futili, come il telefono, o in gruppi malavitosi.