Guide Invisibili: il racconto dei ragazzi migranti in quarantena

Ciao, mi chiamo Efe, sono un migrante dietro la maschera. Prima della quarantena in Italia facevo consegne di cibo per Glovo e, durante le partite, lavoravo allo stadio. Quando è iniziata la quarantena tutte le attività nello stadio sono state cancellate, così sono diventato un rider di Glovo a tempo pieno. Chi vorrebbe lasciare le proprie case durante questa quarantena di Coronavirus? Nessuno. Questa pandemia di COVID-19 ha portato paura in tutto il mondo, non solo in Europa o in Cina. Ma indovina un po? Io, Efe, voglio uscire. Pensi che io sia pazzo? Lascia che ti racconti una storia. Quando è iniziata la quarantena, le persone erano al chiuso, stavano praticamente a casa. Uscivano solo per ragioni importanti come: andare al supermercato, andare in farmacia o al lavoro. Nessuno andava più al Mc Donalds e in pizzeria. E questa era una grande opportunità per i riders. una buona occasione per fare soldi perché gli ordini erano moltissimi. Sì, il rischio era molto alto  ma, fidati di me, ho preso le mie misure di prevenzione: la mia mascherina, i miei guanti, ho anche comprato un disinfettante per le mani e tenevo una buona distanza dai clienti”.

Il rider dietro alla mascherina

Efe è il protagonista della storia “Rider dietro alla mascherina” settimo episodio del progetto “Guide Mascherate”  lanciato in questi giorni  da Laboratorio 53 e Guide Invisibili  (qui tutti gli episodi pubblicati finora) per raccogliere in brevi messaggi vocali storie, aneddoti, suoni, considerazioni di giovani migranti che vivono la quarantena forzata nelle non facili situazioni dei  centri di accoglienza o in case condivise da famiglie “allargate”.  Marco Stefanelli ideatore del “format le guide invisibili” ha “montato” il sonoro dei 7 episodi fin quei raccolti, accompagnati dalla sigla musicale di Matteo Portelli insieme con la  Blue Dot Session e pubblicati sulla pagina facebook di guide invisibili dove si possono ascoltare on line su soundcloud.

Il logo del progetto Guide Mascherate disegnato da Elena Giordana
Ascoltando le storie, una diversa dall’altra, le esperienze vissute dai ragazzi, le loro voci si percepisce lo stupore che dapprima li ha colti di fronte alla chiusura quasi improvvisa dei centri che hanno “sbarrato” da un giorno all’altro le porte diventando  una sorta di “prigioni”. “Eravamo andati a fare la spesa – racconta una delle ragazze protagoniste – e al ritorno ci siamo trovati chiusi fuori: non si poteva più entrare né uscire”. La speranza in un primo momento di poter avere un vantaggio dalla situazione, come nel caso di Efe che con il suo lavoro di rider pensava di poter guadagnare un sacco di soldi è stata sostituita dalla consapevolezza della gravità della situazione che imponeva a tutti di stare in isolamento per difendere  la propria salute e quella degli altri. “Questo virus – riflette Efe mi ha fatto capire quanto fossimo privilegiati a muoverci liberamente prima, senza restrizioni. La libera circolazione è una benedizione per l’umanità”. Sekou in “Prigionieri”” rìflette, piuttosto, sulle condizioni di una quarantena ancor più difficile della sua, quella dei detenuti nelle carceri. Roland racconta la sua giornata nel Centro di Accoglienza scandita dalla paura della malattia che riguarda “tutto il mondo e non solo i bianchi”. Una “Casa per sette” è quella in cui si trova a vivere Marwa con la sua famiglia composta da sette persone. La vita è più difficile – racconta -con la fila per andare in bagno, le camere, compresa la cuicina,  sempre tutte occupate: “prima alcuni di noi uscivano per andare al lavoro, ora siamo costretti tutti a casa. Non possiamo uscire per rispettare le regole e se una persona si arrabbia… si arrabbia tutta la casa. I primi giorni è andato tutto abbastanza bene – conclude con la sua voce squillante  – ma adesso sto litigando con tutti”. 
Un “team” delle Guide Invisibili
Quella del “rider” per un giorno, Efe, è però la storia più articolata tra quelle pubblicate dalle Guide Mascherate. La sua esperienza  come ragazzo delle consegne si esaurisce in poche ore. Inizia a lavorare il 9 marzo con Mc Donalds. “Quel giorno – racconta –  ho fatto tantissime consegne. Ero così felice. Sono tornato a casa pensando al giorno successivo. Pensavo al lavoro che avrei fatto e ai soldi che avrei guadagnato. Non ci pensavo proprio al Coronavirus! Il giorno dopo esco e dappertutto c’era un deserto. Anche i Mc Donalds erano totalmente chiusi. Erano aperte solo poche pizzerie”. Gli ordini di Glovo arrivano da case molto lontane da raggiungere in bicicletta, Efe si ferma a pensare come organizzarsi. “Mi sono seduto su una panchina sulla strada.

L’incontro con i carabinieri per un controllo

Ero concentrato sul mio telefono. Stavo giocando. Quando a un certo punto ho sentito“Ciao”  sollevo la testa e vedo due carabinieri, un uomo e una donna, immediatamente la paura mi ha invaso il cuore, la paura mi ha bloccato ogni muscolo del corpo, come se avessi il Coronavirus! Diversi pensieri hanno cominciato a passarmi per la testa: cosa ho fatto a questi carabinieri? perché si sono fermati a salutarmi? Non riuscivo a ricordare di aver fatto qualcosa di sbagliato. Ero solo seduto a guardare il telefono. “Perché sei seduto qui all’aperto?” chiede la donna, “Sto lavorando!” e lei “Che lavoro fai?” “Sono un rider di Glovo” ho risposto indicando la mia bicicletta e la mia sacca a distanza. Entrambi guardano nella direzione che gli ho indicato, poi mi fissano nuovamente. Sapevo che non mi stavano credendo. Così ho aperto subito l’applicazione di Glovo sul mio telefono per dimostrare loro che era proprio la mia. Il carabiniere mi ha chiesto i documenti e ha verificato il mio nome anche sulla app. Corrispondeva. Era lo stesso. Mi restituisce i documenti e mi dice “Passa una bella giornata”. Se ne vanno, ma  ero un po’ spaventato. La strada era deserta, c’erano solo poche macchine e poche persone che camminavano in giro e due rider di Glovo di fronte a Mc Donalds. Ho iniziato a pensare: gli ordini oggi sono molto distanti e i carabinieri hanno iniziato a fare controlli. Immediatamente ho perso interesse per il lavoro. Ho aperto la mia app e ho scritto a Glovo dicendogli di cancellare le ore di lavoro previste. E sono tornato a casa”.

Immagini di alcuni dei ragazzi che hanno partecipato con i loro audio al progetto e degli autori del Laboratorio
Nell’episodio n.7 “family distancing” l’ultimo in ordine di pubblicazione,  Efe racconta  del rapporto che ha quasi ogni giorno, “chiuso tra le mura di casa”, con la madre, attraverso una videochiamata con il cellulare. “Ciao dolcezza del mio cuore! È così che normalmente saluto mia mamma”. Lei è molto preoccupata per quello che sta succedendo e mi chiede: Adeghèvinyamà? che significa (in Bini): spero che tutto vada bene”. Poi la mamma informa Efe sulla diffusione del virus  in Nigeria dove le strade non sono più sicure e si deve restare a casa, senza poter lavorare.   “Se questo virus dovesse colpire la Nigeria come ha colpito l’Italia, la Nigeria, che a differenza dell’Italia non è attrezzata dal punto di vista medico per combattere questo virus, diventerebbe in poco tempo una terra povera, buona solo per l’agricoltura. La mia unica preghiera – aggiunge – è che Dio guarisca il mondo prima che questo virus raggiunga la Nigeria. La mia famiglia è la mia vita”.

 

Francesca Cusumano

(8 aprile 2020)

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