Les sauteurs, documentario di Moritz Siebert e Estephan Wagner in coregia con Abou Bakar Sidibé sui migranti subsahariani a Melilla, enclave spagnola in Marocco. Il film, distribuito da Zalab di Andrea Segre, sarà a Roma il 9 marzo al cinema Palazzo, con collegamento con il regista Sidibé e il 16 marzo al cinema Apollo 11, in presenza del regista Siebert.Presentato in anteprima mondiale al Festival di Berlino 2016, dove ha ottenuto l’Ecumenical Jury Award, Les sauteurs è stato selezionato in oltre 50 festival di tutto il mondo e ha vinto 15 premi tra cui l’Amnesty International Award.La novità di questo documentario è proprio quella che a filmare è uno dei protagonisti Abou Bakar Sidibè, originario di Kidal, Mali, che rimane bloccato per un anno sul monte Gurugù, insieme a tanti altri giovani provenienti dall’Africa, nel tentativo di varcare il confine per arrivare in Europa.Siebert e Wagner gli propongono di riprendere la situazione per sensibilizzare gli europei sulla tematica. Lui all’inizio accetta soltanto per una questione economica ma poi scopre l’importanza di quello che sta facendo: per quattro mesi riprenderà tutto quello che succede.“Quando guardi il mondo attraverso una telecamera percepisci ciò che ti sta intorno in maniera diversa. La creazione di immagini ha iniziato a piacermi, ho cominciato a vedere bellezza. Quando filmo riesco a sentire di esistere” spiega nel documentario. E’ fiero del lavoro che ha fatto: lo aiuta a non dimenticarsi chi è, a cosa appartiene.E’ per questo che, in qualche modo, il film può essere considerato un documentario sul fare un documentario.Abou Bakar ha cominciato il suo viaggio con 40 euro in tasca, senza dirlo a nessuno. A consolarlo e dargli forza le telefonate con il fratello a Valencia, partito prima di lui. “Melilla è il nostro grande amore” dice guardando il mare “la notte sogniamo di passare le recinzioni ma siamo perseguitati dalle botte. Nessuno può essere felice su questa collina”.Abou non si arrende e infatti riesce ad arrivare a Melilla il 20 ottobre del 2014. Dopo un mese raggiunge Murcia e poi Madrid, dove soggiorna da un amico giornalista per cinque mesi. Attraverso Francia e Belgio approda in Germania, a Kempten.Ma non tutti ce la fanno: alcuni tornano indietro, altri invece sono più determinati e perseverano, altri ancora, i più sfortunati, muoiono nel tentativo, come Mustafa amico di Abou, a cui il film è dedicato.A tenere lontano il raggiungimento del sogno di les sauteurs ci sono tre recinzioni, spray urticanti, filo spinato e le autorità marocchine, spesso brutali.“Sono stato catturato cinque volte e portato a Rabat, Casablanca o Fez. Cercavo sempre qualche lavoretto per trovare i soldi per tornare al confine” racconta Abou.I poliziotti spesso fanno anche incursioni sul monte Gurugù e bruciano tutto quello che trovano e i migranti sono costretti a scappare e nascondersi.La vita sul monte è tormentata dall’attesa e dalla sofferenza ma ben organizzata: ogni comunità ha ha la sua amministrazione e il suo capo che guida gli assalti alla recinzione. Nei tempi morti si organizzano anche tornei di calcio per nazionalità.“Il monte Gurugù ci cambia: il dottore vende le sigarette, lo studente di legge si improvvisa cuoco”. Questa terra di nessuno rende i migranti molto affiatati “dobbiamo stare uniti se no si diventa matti”.Nessuno deve parlare però con la polizia marocchina pena la morte.“So che non c’è il paradiso al di là delle barricate ma sono consapevole anche che il prossimo tentativo sarà doloroso e allora devo credere che ci sia l’Eldorado”.L’Europa tanto agognata l’ha però deluso: Abou è da un anno e mezzo in un centro per richiedenti asilo in attesa dei documenti che non arrivano mai. “Il vecchio continente in televisione è un’oasi felice in cui puoi raggiungere tutto quello che vuoi, invece nella realtà ogni cosa è difficile”.Pensa ci sia un gran problema di differenziazione in Germania tra rifugiati di serie a e b: “noi aspettiamo per anni e poi veniamo cacciati”. La sua situazione poi non sta avendo grandi cambiamenti grazie al film: “Nessuno ha fatto niente affinché possa risolvere il problema dei miei documenti e devo anche pagare per fare un corso di tedesco perché non ho lo status di rifugiato”.Non rimpiange di avere lasciato il Mali ed, essendo molto religioso, si affida al Signore.“Il nostro Paese è stato sfruttato per decenni e ora che voglio venire in Europa me lo impedite? No, no, non è giusto. Ho il diritto di andare in Europa non potete prendere tutto e poi lasciarci fuori”.