La vulnerabilità fra l’espressione di fragilità e fonte inesauribile di determinazione

Fabiana Musicco, specializzata nello studio dei flussi migratori e delle migrazioni forzate inizia la sua carriera nel mondo dell’editoria giuridica subito dopo la Laurea in Giurisprudenza.Durante la sua esperienza  decennale di  lavoro editoriale inizia a maturare un forte interesse per la trasformazione multietnica della società italiana e nel 2009 ,Fabiana decide di lasciare la casa editrice per un lavoro in un Istituto di Ricerca Sociale. I suoi studi sulle questioni migratorie, le politiche di accoglienza e integrazione la porta a essere tra le fondatrici di Refugees Welcome Italia che nasce nel 2014.  Un progetto fortemente voluto nella vita di Fabiana è quello di diventare mamma. E così, 12 anni fa, decide  di adottare una splendida bambina  dalla Cambogia all’età di 1 anno.“Essere mamma è una gioia, grazie alla mia malattia oggi sono una felice mamma adottiva” A cosa associ il concetto di vulnerabilità? Al concetto di vulnerabilità sarebbe necessario fare una riflessione pubblica sulle varie forme di sostegno all’inclusione sociale e a mio parere aggiornarle. Ho sempre la sensazione che le persone vengano osservate sotto un focus specifico, e ci si concentri su tutte le vulnerabilità senza mai buttare l’occhio sulle sue potenziali risorse e quindi la persona si dimentica di averle. Questo dovrebbe essere un tema di riflessione per la riforma delle politiche del welfare. Anche perché a parte il problema contingente di questo covid-19 era già in atto in Italia una recessione globale. Le disuguaglianze che ci sono a livello globale sono così grandi che di fatto se non si lavora su quelle noi avremmo masse enormi di persone sempre più socialmente vulnerabili e gruppi piccoli di persone sempre più forti a livello economico e politico. Consideri che la vulnerabilità è limitata solo all’aspetto sociale? Il tema della vulnerabilità è un tema che non riguarda solo le persone ma riguarda la natura, le risorse. C’è molto bisogno di approfondire. Sarebbe bello che giornali e siti si facessero promotori di riflessioni come queste. Un confronto per capire anche quante persone sono vulnerabili e non gli viene riconosciuta loro la temporaneità della vulnerabilità oppure come, all’interno della vulnerabilità, ci sono delle risorse da riattivare e come fare per riattivarle. Abbiamo di fronte una sfida molto grossa. Ci vorrebbero delle persone di altissima levatura che prendessero le redini della politica globale e potessero fare delle scelte consapevoli che avrebbero un impatto su tutti noi e sulle generazioni future di tutto il pianeta.Ti sei mai sentita vulnerabile nella tua vita? È stata la malattia in età abbastanza giovane a portarmi a fare i conti per la prima volta con il concetto di limite. Questo periodo di vulnerabilità si è tradotto in una grande forza che mi ha permesso di fare delle scelte importanti e ridisegnare le priorità della vita sia a livello personale che professionale. Ho capito che dovevo assecondare le mie passioni, fare quello per cui sono nata, e ho lasciato dopo 20 anni un lavoro dipendente a favore di un impiego meno redditizio e meno “sicuro”. Per la prima volta mi sono confrontata con l’incertezza e la precarietà di conseguenza con uno stato di vulnerabilità. La vulnerabilità l’ho sentita fortemente anche intorno ai 50 anni quando ho sentito un cambiamento anche nella mia energia. Faccio un lavoro molto sfidante per il quale ogni giornata devo dare il massimo, ed è un lavoro di grandissima concentrazione. Il cambiamento di energia e altri problemi di salute mi hanno impedito di dare il massimo rispetto al mio appassionante lavoro e a una vita sociale molto ricca. Lavori nel mondo del volontariato, hai ogni giorno contatto con il mondo dell’immigrazione con giovani emigrati che spesso si allontanano da zone di conflitto, zone di guerra per cercare un posto sicuro dove, poter creare un progetto di vita. Secondo te vivere in un clima o in una situazione di conflitto perenne è indicatore di vulnerabilità? Trovo che lo spostamento in generale abbia sempre fatto parte della natura umana quindi migrare è un fenomeno del tutto naturale. Ci sono state epoche in cui spostarsi era necessario per la sopravvivenza, per un’aspirazione che è universale, mirata al miglioramento delle proprie condizioni di vita e di quella dei propri familiari. È una spinta inesauribile che ritrovo nel racconto di persone molto vulnerabili e che diventa una forza per la crescita e il miglioramento. Purtroppo, non si tiene conto di questa forza che spinge le persone ad affrontare viaggi più o meno lunghi trasformando così quell’aspirazione naturale in uno stato di vulnerabilità. Per chi vive in una situazione di conflitto trovo che si acuisca una condizione di vulnerabilità in quanto si vive in una situazione di costante pericolo. Una paura per te e per la vita delle persone care che sono lontane. Questo porta allo sviluppo del fenomeno del lavoro nero e di condizioni di lavoro non dignitose. Non scelgono queste condizioni, sono costretti. Di conseguenza la vulnerabilità mette le persone in grave difficoltà perché gli viene attribuita la colpa della loro condizione. L’incontro con la diversità porta a una condizione di crescita o di vulnerabilità? Refugees welcome lavora tantissimo su questo aspetto attraverso il confronto reciproco su un piano di parità che si crea tra il desiderio della famiglia che accoglie di condividere uno spazio, e il desiderio di chi chiede di essere accolto. Si cerca di costruire un piano relazionale dove si lavora molto sulla reciprocità e sul fatto che non c’è qualcuno più forte dell’altro poiché tutti siamo vulnerabili in vari momenti della nostra vita. Questa significa che la vulnerabilità è portatrice di risorse che sono inespresse dentro la persona: bisogna aiutare la persona a tirare fuori le sue risorse e bisogna capire che siamo tutti vulnerabili in qualche momento della nostra vita. Il rifugiato è scappato da un paese in guerra, ha attraversato un viaggio pericolosissimo, è arrivato nel nostro paese, ha chiesto protezione al nostro paese e ha ottenuto una protezione. Purtroppo, molto spesso si trova ad avere una vita molto precaria e di non avere accesso alle stesse possibilità di qualcuno che è nato qui. Non è una colpa né un merito essere nato in un luogo piuttosto che in un altro. Questo ci spinge a sostenere un’idea diversa di vulnerabilità e per far riflettere tutti i protagonisti, le istituzioni e le associazioni sul fatto che stigmatizzare qualcuno in una condizione di vulnerabilità è profondamente ingiusto oltre che profondamente inutile perché non ci aiuta a progettare una società nella quale ciascuno possa dare il meglio di sé e possa esprimere il meglio delle sue possibilità. Nella vita di ogni donna indossare la minigonna può essere un punto di forza o al contrario un punto di debolezza, di vulnerabilità a seconda del significato che gli si dà. Quale significato attribuisci a questo aspetto? Ogni donna secondo me ha il diritto di abbigliarsi come crede e di giocare con la propria immagine. È profondamente sbagliato interpretare tale comportamento come accondiscendente o provocatorio, La vulnerabilità delle donne sia nel fatto che sono ancora costrette a sentirsi stigmatizzate anche per la scelta di un capo di abbigliamento. Nessuno dice che un uomo è in un certo modo se indossa una camicia bianca, una cravatta, un maglione a collo alto o i pantaloni stretti: non viene data un’interpretazione su “che cosa ci voleva dire? “. Credo che ci sia ancora molto da fare per arrivare ad una piena parità di considerazione della persona umana come portatrice di diritti di libertà di scelta.