Sabato 25 gennaio presso la Casa della Cultura si è tenuta la festa “Ritmiamo con la Comunità Afghana”. “Benvenuti a tutti i colori, perchè ritmo è un insieme di colori”, dice il presidente della comunità afghana.L’iniziativa fa parte di un ciclo d’incontri promossi dal V municipio e da alcune associazioni, INSERIRE NOMI ASSOCIAZIONI, con lo scopo di far conoscere le diverse comunità presenti sul territorio di Roma e le loro culture, e di facilitare la vera inclusione. “Orgoglio africano, tutti insieme per non vivere da soli nel paese degli uomini” dice Lipo, camerunense.Anche le associazioni di volontariato danno la loro testimonianza. Lorena racconta la propria esperienza: “Dopo l’arrivo di migliaia di giovani afghani, scappati dalla guerra, c’è stata l’esigenza di creare uno spazio di accoglienza e solidarietà, dove i rifugiati potessero recuperare fiducia in loro stessi e nel futuro”. Così nasce Binario 15 che ancora oggi lavora per i ricongiungimenti familiari e come supporto alle donne afghane nel costruire un percorso d’inclusione.”Non so che fine farò”, Mayar e la sua testimonianza.Mayar, invece, è molto arrabbiato. “Non ho ricevuto aiuto da nessuno, neanche dalle associazioni. Non so che fine farò”, conclude Mayar.Nel parco intorno alla casa della cultura ci sono tanti ragazzi afghani, venuti anche da fuori Roma per partecipare e dare la propria testimonianza. Dopo qualche esitazione, Mayar inizia a raccontarsi: “Sono scappato dall’Afghanistan, come tutti loro. Io sono arrivato in Italia nel 2010. Speravo di ricevere aiuto per quello che avevo fatto in Afghanistan”.Dopo aver perso il lavoro da maestro a causa dei talebani, ha iniziato una collaborazione segreta con i militari italiani che in quel periodo erano di stanza a Kabul. Nonostante il pericolo a cui va incontro, le informazioni che lui passa ai militari, servono a salvare molte vite. Dopo l’uccisione del fratello per mano dei talebani, scappa dall’Afghanistan: “da allora non sono più tornato. Ho lavorato per alcuni anni a Forlì smantellando amianto, un duro lavoro, senza sicurezza, che ho interrotto per gravi problemi di salute”. Adesso vive in un appartamento con altre undici persone in condizioni molto precarie e senza lavoro.Confronto e scambio arricchiscono la festaAll’interno la sala è gremita. Diversa è l’esperienza di Syed Hasnain. “Dopo l’arrivo in Italia sotto un tir e aver passato dei giorni in strada, al freddo, l’aiuto di Carmine, un pizzaiolo di Benevento, è stato importantissimo. Mi ha fatto conoscere un’associazione che si occupava di rifugiati e da lì la mia vita è iniziata a cambiare”. Oggi Hasnain è presidente di UNIRE, Unione Nazionale per i Rifugiati ed Esuli, nata nel 2019. “L’associazione serve a sensibilizzare i rifugiati sui loro diritti e sul fatto di essere protagonisti della propria narrazione, per non essere sottomessi alle decisioni degli altri”, afferma. Una sfida per tutti, complicata soprattutto per chi come Mayar è ancora in attesa di ottenere i documenti per costruire il suo futuro in Italia.