Afghani a Roma: Ritmiamo è la festa dell’integrazione

“Ogni persona è un ritmo, ed è dagli incontri di più ritmi che può nascere una melodia. Per questo motivo a noi non piace la parola integrazione, a cui preferiamo la parola convivenza, nel senso di coesistenza armoniosa di più diversità”. Danilo Maddaluna, della Cooperativa Itinere, si trova all’entrata della Casa delle Culture, un palazzetto circondato da un ampio giardino sulla via Casilina. Sabato 25 gennaio si è svolta la festa “Ritmiamo con la comunità afghana”: un incontro fatto di condivisione e di piccole grandi cose che uniscono, come la musica e il cibo.“Ritmiamo” è il nome di un ciclo di incontri promosso dal V Municipio, Itinere, Comunità afghana di Roma, Musintegra, Comunità Igbo, CAMROL – Camerunensi di Roma Lazio e Fouta Developement organization, che ha lo scopo di far conoscere le diverse culture presenti nel cuore multietnico della Capitale, per coinvolgere, questo l’auspicio, più italiani possibili nella conoscenza reciproca tra le comunità straniere di Roma. Oggi è la volta della comunità afghana.

Afghani a Roma: la Casa delle Culture ospita "Ritmiamo" con la comunità afghana
Afghani a Roma: la Casa delle Culture ospita “Ritmiamo” con la comunità afghana. Foto: Elisabetta Rossi

Afghani a Roma: “la partecipazione è una priorità”

In Italia gli afghani residenti sul territorio sono 11.300; 1.400 risiedono a Roma, secondo i dati ISTAT aggiornati al 2019. “Cosa sanno gli italiani di noi? Siamo vittime di stereotipi. Vittime di guerra oppure terroristi. L’Afghanistan è una terra ricca di cultura e tradizioni antiche, ma in Italia si sa pochissimo di noi”. Shadam, mediatore culturale, interviene al discorso di apertura. “Faccio molti incontri nelle scuole per parlare di cultura afghana. Una volta ero in una scuola siciliana, dopo qualche minuto di conversazione dissi a una maestra da dove provenivo e lei non riusciva crederci. La sua idea dell’afghano era tutt’altra e nei suoi canoni non corrispondeva alla mia immagine”.

"Ritmiamo con la comunità afghana": il discorso di apertura con i referenti della comunità
“Ritmiamo con la comunità afghana”: il discorso di apertura con i referenti della comunità
“È molto difficile vivere qui. Appena arrivato, mi trovavo senza documenti, senza assistenza. Ho dormito per molto tempo in strada, vicino la stazione a Piramide. Ma ora sono in piedi”, dice Shadam sorridendo e salutando la sua neosposa tra il pubblico.Una storia di dolore che si trasforma in coraggio accomuna Shadam a Syed Hasnain: “Sono passati 13 anni da quando, attaccato sul fondo di un tir, sono arrivato in Italia, a Benevento. Dopo diverse notti per strada, un italiano, Carmine, mi ha portato nella sua pizzeria e mi ha dato da mangiare. Mi ha parlato di un’associazione a cui potevo rivolgermi per chiedere aiuto. Da lì la mia vita è cambiata. A distanza di anni, posso dire che ho trovato molti Carmine lungo il mio percorso. Questa è l’Italia bella che io conosco“.Hasnain è oggi presidente di Unire, Unione Nazionale Italiana per i Rifugiati ed Esuli, nata nel 2019, per informare e sensibilizzare i rifugiati al fine di favorire il confronto con le istituzioni pubbliche e private, italiane ed europee, e trovare insieme delle soluzioni in materia di diritto d’asilo, accoglienza e inclusione.“Mi sono laureato facendo una ricerca sulla partecipazione dei rifugiati nei processi decisionali. Mi sono chiesto: si parla sempre di migranti e stranieri, ma questi influenzano le politiche migratorie? Vengono consultati dalla politica? La risposta è stata no. Da qui l’idea della nostra associazione di sensibilizzare i rifugiati sui loro diritti e sul fatto che dobbiamo essere protagonisti della nostra narrazione, altrimenti saremo sempre sottomessi alle decisioni degli altri”.Nei discorsi di apertura alla festa, i rappresentanti della comunità afghana di Roma, davanti a un pubblico numeroso di afghani, italiani e stranieri provenienti da diversi paesi africani, hanno voluto ribadire che le radici sono la cosa più importante, e che integrarsi in Italia non vuol dire doverle perdere. Per gli afghani arrivati da poco in Italia, sono state presentate realtà associative che si occupano di servizi rivolti ai migranti. Un esempio è Binario 15, che nasce nel 2011: il nome dell’associazione di volontariato deriva proprio dal binario 15 della Stazione Ostiense, crocevia in quegli anni di migliaia di profughi fuggiti dall’Afghanistan in guerra. “Oggi uno dei nostri progetti è rivolto alle donne afghane che sono arrivate in Italia con il ricongiungimento familiare“, racconta Lorena Di Lorenzo. “Le aiutiamo a trovare accesso ai servizi sul territorio e organizziamo attività di gruppo, anche con i loro bambini, per favorire l’empowerment e contrastare l’isolamento”.

Afghani in festa: le redattrici di Be Free a caccia di suoni e colori da raccontare

Una realtà, quella della comunità afghana, complessa e ancora sconosciuta ai più. Una realtà che le donne del progetto “Perfetto Migliorabile”, realizzato dalla Cooperativa Sociale Be Free, hanno voluto osservare in qualità di giornaliste all’interno del corso tenuto dalla redazione di Piuculture. “Mi ha incuriosito il senso di appartenenza di questa comunità”, commenta Brigida. “L’espressione che mi è piaciuta di più è stata quella in apertura: Benvenuti a tutti i colori“, aggiunge Anna.

Paola, del corso di giornalismo, a caccia di un’intervista
“È stata una festa colorata, è stato bello vedere insieme la comunità afghana con quelle africane. Penso che abbiano chiaro il concetto: l’unione fa la forza“, dice Paola.Le “inviate speciali” di Piuculture hanno lavorato come un vero e proprio team di redazione: dopo un’accurata preparazione, hanno preso macchina fotografica e taccuino e sono scese in campo, ognuna per documentare uno specifico aspetto della comunità afghana. Nelle sale della Casa delle Culture hanno osservato, fotografato, ascoltato, fatto interviste ai presenti, per trarre più notizie possibili e “portare a casa” il loro articolo. Hanno potuto osservare una comunità a loro sconosciuta, forse difficile da raccontare: “Si è percepito il senso di accoglienza, ma avrei preferito vedere più donne, visto che mi sarebbe piaciuto scrivere un articolo sulle mamme e i figli della comunità”, spiega Leila, che ha documentato l’attività della giornata dedicata ai bambini. “Credo che le persone che erano lì avessero voglia di raccontare la loro storia, il loro viaggio. Io volevo cercare più notizie possibili, ma avevo paura di distoglierli dal loro momento di festa”, conclude Paola.Solo quando viene annunciata la musica, la festa può davvero iniziare: ritmi afghani, così insoliti ma coinvolgenti, abbracciano la sala e tutti si lanciano nelle danze. In attesa della cena tradizionale, molti giovani afghani si salutano, alcuni non si conoscono e socializzano, parlando in pashtun. C’è chi, come Shaimir, è arrivato appositamente da Napoli dopo aver saputo della festa sul gruppo Facebook della comunità afghana: “Non conosco nessuno, ma volevo venire a parlare con i miei connazionali qui a Roma”.

Elisabetta RossiFotogallery e copertina: Francesca Mahmoud Alam(29 gennaio 2020)

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