Dall’Afghanistan all’Italia nascosto sotto un tir: il viaggio lungo 7 anni di Syed

 

Trafficanti e migranti in viaggio attraverso la Libia(foto ozy.com)
Trafficanti e migranti in viaggio attraverso la Libia(foto ozy.com)
“Avevo soltanto dieci anni e una delle decisioni più importanti da prendere nella mia vita è stata: andare a combattere in guerra insieme ai miei fratelli e fratellastri o scappare dal mio paese.” Inizia così la storia di Syed, giovane ragazzo proveniente dall’Afghanistan fuggito da un destino di bambino-soldato e arrivato in Italia dopo un viaggio lungo sette anni.“Un giorno stavo con mia mamma nell’orto e mi disse che sarei dovuto andare in città insieme ad una persona per comprare dei vestiti. Mentre io andavo via con questo signore mia mamma piangeva e io non capivo perchè. Dopo qualche ora di viaggio siamo arrivati in Pakistan, io avevo tanta paura e non riuscivo a smettere di piangere, ma è stato in quel momento che ho capito che mia madre mi aveva affidato a lui perché non voleva che finissi come i miei fratelli. E’ stato proprio il suo amore immenso a salvarmi”.Syed spiega con precisione tutti gli spostamenti che ha fatto nel suo viaggio, parla volentieri: dal suo arrivo in Pakistan alla traversata con i trafficanti lungo il deserto fino arrivare prima in Iran, dove ha vissuto e lavorato per quasi 4 anni, poi in Turchia e infine in Europa.“Ho pagato 4mila euro per comprare un posto nella stiva di un barcone che, dopo tre giorni di viaggio, ci ha scaricati sulle coste della Grecia. Purtroppo, quando non c’è una via legale ti devi affidare ai trafficanti. Loro hanno una rete molto organizzata e si avvicinano a te per procurarti documenti, un posto in una baracca o un viaggio”.Quando Syed è arrivato in Grecia pensava di aver trovato il paradiso, ma purtroppo non è stato così. “Anche lì sono stato picchiato, non avevo la possibilità di fare richiesta di asilo e la sera dormivo nelle baracche dei trafficanti.”Stanco di questa situazione a soli diciotto anni, Syed decide di imbarcarsi clandestinamente per arrivare in Italia. “Mi sono attaccato sotto il motore di un tir per nascondermi e salire sulla nave. Una volta arrivato in Italia il tir si è messo subito in autostrada direzione Benevento e, dopo tre ore di viaggio, il motore era diventato molto caldo. Io urlavo di dolore ma l’autista non mi sentiva. Alla fine ho deciso di rompere il tubo dell’olio che mi ha bruciato ma che ha fatto fermare il tir. Quando l’autista mi ha visto è rimasto scioccato, non si aspettava proprio che una persona fosse nascosta lì sotto per tanto tempo. A quel punto io avevo tanta paura e ho deciso di fuggire ancora.”L’obiettivo di Syed non era però rimanere in Italia ma arrivare fino in Inghilterra dove un suo amico era pronto ad accoglierlo, poi un pizzaiolo di un piccolo paese nel Beneventano gli ha fatto cambiare idea e gli ha dato la possibilità di tornare a credere negli uomini.“Il suo aiuto è stato fondamentale: mi ha fatto mangiare, lavare e mi ha ospitato per una notte. A quel punto ho pensato che in Italia ci fossero tante altre persone come lui disposte ad aiutarmi e ho deciso di raggiungere Roma. Oggi, dieci anni dopo, penso di aver fatto la scelta migliore della mia vita”.
La tenda di Syed nella Stazione Ostiense di Roma
La tenda di Syed nella Stazione Ostiense di Roma
Syed ha trascorso il primo periodo nella capitale alla Stazione Ostiense insieme ad altri ragazzi afghani. Dormivano in una tenda, senza bagno né doccia, poi si è trasferito ad un centro di accoglienza a Casalotti. E’ stato lì che Syed ha cominciato a darsi da fare innanzitutto ha studiato italiano, ha frequentato un corso di formazione per dare assistenza a migranti e richiedenti asilo, poi è stato il momento di  cercare lavoro e di andare alle scuole superiori.Quando parla di come ha ottenuto il suo primo lavoro in Italia, Syed, cambia l’espressione del viso, sorride e lo definisce con una parola: “fortuna”. Anche se nel suo caso sarebbe meglio chiamarla “determinazione”. Già diplomato in meccanica, si iscrive a Scienze politiche e Relazioni internazionali e spera di laurearsi a fine anno.
Syed
Syed
“Nel frattempo, la mattina lavoro con MSF in un centro di vittime di tortura e la sera ad A28, centro notturno per minori stranieri in transito, faccio il mediatore culturale. È un lavoro molto importante per me perché avendo fatto un viaggio anche io da minorenne riesco a capire le esigenze dei ragazzi che transitano per Roma e posso aiutarli meglio.”Syed ricorda con nostalgia il suo paese e la sua famiglia, soprattutto la madre, è riuscito a ritrovarla dopo dodici anni tramite un amico. “È stato un momento bellissimo e mia mamma era molto emozionata e orgogliosa di me, come io sono fiero di lei: grazie al suo gesto mi sono salvato e vivo tranquillo e in pace, chissà che fine avrei fatto se fossi stato costretto ad andare in guerra.” E con gli occhi lucidi pensa al futuro nella speranza di poter tornare in Afghanistan un giorno, “perché in tutti questi anni ho imparato che nulla è impossibile e se vuoi fare qualcosa, non resta che realizzarla“.

Cristina Diaz12/07/2017

Leggi anche: