Speranze e testimonianze dei giovani rifugiati del Centro Astalli

Il 13 gennaio, presso la chiesa del Gesù, il Centro Astalli ha celebrato la giornata mondiale del migrante e del rifugiato, alla presenza di padre Arturo Sosa, superiore generale della compagnia di Gesù e con le testimonianze dei giovani rifugiati. “Le leggi non compiute, come quella per lo ius soli, le lentezze burocratiche, espongono i minori migranti a rischio di tratta e lavoro nero. La società civile fa molto, ma non può sostituirsi ai doveri dello Stato.” Così padre Sosa introduce l’incontro. Morteza, un ragazzo afgano di 22 anni, racconta: “sono nato e cresciuto in Iran con la mia famiglia, non avevamo né documenti né prospettive. Un giorno, mi sono allontanato dalla città dove vivevo e per questo sono stato arrestato e rimpatriato. Non potevo rimanere in Afghanistan dove i minori vengono sfruttati per qualsiasi tipo di lavoro e non hanno diritti. Quindi ho viaggiato verso la Turchia, passando per la Grecia fino ad arrivare in Italia. Qui sono stato accolto in un centro alla stazione Ostiense e ho ricontattato mia madre che non riusciva a credere che fossi io perché mi credeva morto. Attualmente studio cinematografia ma ho paura per il mio futuro poiché lo vedo molto incerto.” La storia di Mirvat, ventiseienne siriana, racconta di come la guerra distrugga anche il futuro, i sogni e le aspirazioni: “sono scappata da Aleppo da adolescente con la mia famiglia. Abbiamo camminato fino in Libano, oggi siamo rifugiati in Italia, qui studio lingue. La guerra ha distrutto non solo le case, ma anche i sogni di tutta la mia generazione. Io e tanti ragazzi rifugiati cerchiamo di restituire un senso alla vita e ricostruirci quella normalità che la guerra ci ha tolto, ma non è facile.”

Edelawt, etiope di 21 anni è arrivata in Italia con la madre quando aveva 8 anni: “in questo periodo ho vissuto in due centri di accoglienza, una casa-famiglia e il Centro Astalli. Un anno fa ho presentato la domanda per ottenere la cittadinanza, ad oggi aspetto di sapere quando potrò fare il giuramento.”

“Sono arrivato a Pozzallo quando avevo diciassette anni. In Guinea la mia famiglia era perseguitata per motivi politici. Per il viaggio abbiamo speso moltissimi soldi, ero su una piccola barca con altre ottanta persone ed avevo paura di morire. Arrivato in Italia ho capito che ce l’avevo fatta. Ora vivo a Roma ma non è facile essere solo in un paese straniero. Al Centro Astalli mi sento a casa e mi sono fatto degli amici italiani, ma ho molto la nostalgia di chi è rimasto in Guinea. Sto facendo un corso per diventare pasticcere; mia madre mi chiama spesso per sapere se rigo dritto Lei continua ad esserci, sempre!” A raccontare è Aziz, un ragazzo di vent’anni della Guinea.

L’obiettivo comune ai giovani rifugiati è un po’ il medesimo, ribadito da Mirvat “cerchiamo di restituire un senso alla vita e ricostruirci quella normalità che la guerra ci ha tolto.”

Marzia Castiglione Humani

( 18, gennaio 2017)

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