Un anno di #FilieraSporca: i rifugiati dietro la raccolta delle arance

Ogni mattina i rifugiati del Cara di Mineo raggiungono in bicicletta i campi a chilometri di distanza in cerca di un impiego giornaliero. Spesso la paga di otto ore di lavoro non supera i 15 euro. (Photo credits: filierasporca.org)
Ogni mattina i rifugiati del Cara di Mineo raggiungono in bicicletta i campi a chilometri di distanza in cerca di un impiego giornaliero. Spesso la paga di otto ore di lavoro non supera i 15 euro. (Photo credits: filierasporca.org)

A distanza di un anno esatto dal primo rapporto, il 24 giugno 2016 la sala stampa della Camera dei Deputati ha riaperto le porte ai promotori della campagna #FilieraSporca: Terra! Onlus, Associazione Da Sud e Terrelibere.org, accompagnati dalla deputata Celeste Costantino, hanno presentato i risultati delle proposte avanzate – dentro e fuori dal Parlamento – in tema di sfruttamento del lavoro e trasparenza della filiera produttiva.

Il punto sui risultati lo riassume bene Antonello Mangano in apertura: “nell’ultimo anno mi è sembrato di raccontare una guerra: dieci morti di cui tre italiani“, a sottolineare che, contrariamente al sentire comune, la questione del caporalato non è cosa circoscritta ai migranti: “il lavoratore straniero è due volte vittima, la donna straniera è tre volte vittima. Ma la base è uno sfruttamento del lavoro che coinvolge tutti, migranti e italiani”.

Il secondo rapporto #FilieraSporca

Il secondo rapporto di #FilieraSporca, stilato da Mangano insieme a Sara Farolfi, punta lo sguardo sul Cara di Mineo, già oggetto di Welcome to Italy, recente inchiesta di Internazionale a firma di Stefano Liberti. Questione già nota, ma mai affrontata con metodo: dietro la raccolta delle arance compare l’ombra dei rifugiati. Gli stessi cui non è consentito lavorare per mancanza di permessi specifici. Gli stessi cui viene assicurata protezione internazionale e che si trovano – invece – ad inforcare ogni giorno la bicicletta, pedalare per chilometri fino ai campi e cercare ogni mattina un impiego che gli frutti 10-15 euro al giorno per otto ore di lavoro. “Raccolta in economia”, viene definita. E la questione già affrontata in Pensare Migrante, sulle falle del sistema di accoglienza in Italia, arriva finalmente in Parlamento in modo più strutturato.

Eppure, nonostante interviste, video e testimonianze, di certezze non ce ne sono: impossibile ricostruire la filiera in modo dettagliato. Così il rapporto si chiude con un dubbio: “che nell’aranciata che stiamo bevendo ci sia il lavoro schiavistico dei rifugiati. È una cosa di cui un intero paese si dovrebbe vergognare” chiosa Mangano. “Bisogna cominciare a parlare di filiera, non di caporalato” spiega Fabio Ciconte di Terra! Onlus. ” Il fatto sta diventando strutturale, riguarda anche aziende del nord Italia. Ma il dato serio che emerge dal rapporto è che per scomporre il prezzo delle arance ci sono volute settimane, e il risultato che ne è emerso è che produrre il succo costa più che venderlo. Chi paga questo costo? I lavoratori”.

E sul ruolo delle multinazionali, continua: “la difficoltà è stata avere risposte in merito. Su 10 gruppi interrogati hanno risposto in quattro“, con un grado di trasparenza stimato fra il 50 e il 90%. E tra questi c’è persino chi si è dichiarato non interessato a rispondere, trincerandosi in un secondo momento dietro alla firma di un generico “codice etico” dei fornitori. Cosa si può fare, allora? I promotori di #FilieraSporca non hanno dubbi: “Concentrarsi su misure preventive”.

Proposte e riforme: in Parlamento qualcosa si muove

“La politica, in genere, entra in gioco solo per correggere o punire ciò che è già avvenuto” spiega Celeste Costantino, che con Davide Mattiello e Giuseppe Civati ha lavorato alla riforma del codice antimafia, grazie a cui si è iniziato finalmente a parlare di confisca delle terre in caso di caporalato e responsabilità in solido delle aziende. Il prossimo passo? Scrivere una proposta di legge sulla trasparenza della filiera.

Mentre le proposte stilate insieme all’ASGI e quelle per le riforme delle Organizzazioni dei produttori trovano spazio nelle pieghe delle discussioni parlamentari, il tentativo è mantenere i riflettori puntati sulle falle del sistema di accoglienza: “di Mineo sapevamo tutto, ci sono state inchieste e ancora tanto si scoprirà” dichiara Costantino. “Su quello, finora, non c’è stato un cambio di passo”.

Veronica Adriani

(29 giugno 2016)

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