Sfruttamento dei migranti: dai diritti negati allo Ius Soli

lavoratori nei campi
Sono circa 100.000 i lavoratori che vivono in condizioni di semischiavitù secondo il rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto. Di questi la maggior parte è di origine straniera (photo credit: affaritaliani.it)

“Che i migranti producano profitto qualcuno l’ha capito, ed è la criminalità organizzata”. Non usa mezzi termini Francesco Mollo, moderando il panel sui diritti negati dei migranti all’interno di Note di diritti e libertà, il forum sui diritti umani organizzato all’interno della Casa del Jazz di Roma. Un panel ricco, che tratta lo sfruttamento dei migranti in tutti i suoi aspetti: dalle difficoltà nella costruzione di una legge dello Ius soli al fenomeno tutto occidentale del land grabbing, dai matrimoni forzati alle mutilazioni genitali. Argomento, questo, portato di recente alla ribalta dall’istituzione di una giornata mondiale contro una delle pratiche più discusse importate in Europa da gran parte delle comunità residenti sul territorio nazionale (e non solo). 

“Le mutilazioni genitali sono un rito di passaggio da femmina a donna. Se un genitore infligge consapevolmente una simile sofferenza alla figlia, lo fa perché davvero convinto della sua necessità. E’ da qui che dobbiamo partire per analizzare il fenomeno, anche in Europa”, spiega Clara Caldera, rappresentante dell’Aidos. Intervento che fa eco a quello di Maria Grazia Ruggerini sul tema del matrimonio combinato, “problema di potere e cultura patriarcale”, oltre che di violenza contro le donne, spesso vittime in contesti simili di gravidanze indesiderate o di abusi sessuali. 

Alla Casa del Jazz di Roma si è parlato di
Alla Casa del Jazz di Roma si è parlato di “diritti negati dei migranti”, all’interno di “note di diritti e libertà”, seminario organizzato dal Ministero delle Pari Opportunità

Ed è proprio sul tema degli abusi che entrano nel merito le lavoratrici agricole di Ragusa, balzate loro malgrado agli onori della cronaca per il doppio sfruttamento che le ha coinvolte, “di giorno nei campi e di notte nei festini”, come ricorda Roberto Iovino dell’Osservatorio Placido Rizzotto. Donne di fatto prive di diritti, perché – ed è questo l’altro dato drammatico che emerge nel corso del dibattito – la criminalità organizzata agisce più facilmente in contesti agricoli, in cui il controllo sulla manodopera illegale è minore e lo sfruttamento a tutti i livelli più difficile da denunciare. 

Difficile sì, ma non impossibile: è il caso del cosiddetto processo Dacia, ancora in corso a Taranto, in cui le denunce degli abusi hanno portato a giudizio diciassette caporali per lo sfruttamento dei migranti. Una vittoria parziale perché, prosegue Iovino, “l’articolo 603 bis ha le sue falle: punisce il caporale ma non l’imprenditore“. Non solo, ci sono casi in cui la legge viene aggirata con la frode: “i lavoratori Sikh di Latina sono arrivati in Italia con un visto turistico. Falsificato, naturalmente, ma all’apparenza del tutto regolare”. Per avere un’idea dei dati relativi allo sfruttamento dei migranti nel settore agricolo, basta dare uno sguardo al rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto depositato lo scorso giugno: i dati parlano di un sommerso di lavoratori dipendenti pari al 43%: 400.000 persone in tutta la penisola, di cui circa 100.000 ridotte in condizioni di semischiavitù

Se non basta la legge per eliminare il fenomeno – “abbiamo la legislazione antimafia migliore del mondo, ma non per questo abbiamo sconfitto la mafia” – è pur vero che le piccole rivoluzioni dal basso possono aiutare, specie quelle che provengono direttamente dai consumatori. Ed è così che il consorzio che ha fatto del buono, pulito e giusto il suo marchio di fabbrica racconta il piano di sostenibilità sociale di Slow Food e Terra Madre attraverso la voce di Anselme Bakudila. “Le risorse vanno centellinate. Il sistema produttivo occidentale accede a questi elementi senza badare alla loro limitatezza: è il cosiddetto land grabbing“, che colpisce soprattutto il Sud del mondo, per cui “chi nasce povero resta costantemente povero”. E’ qui che Slow Food si è attivato, portando in Africa 10.000 orti sociali, tra scolastici e comunitari: “Slow Food non entra mai nella scelta del contadino, né delle scuole che decidono di creare, ad esempio, una mensa scolastica a partire dai prodotti dell’orto”. Ma il nodo focale è un altro: “la rete di Terra Madre forma i giovani africani che portano avanti la leadership nella politica agroalimentare: per la maggior parte hanno studiato proprio all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo”. 

Italiani in parte, dunque, proprio come quelli che, in apertura di dibattito, il deputato PD Khalid Chaouki ricorda come destinatari del prossimo provvedimento per istituire una forma di Ius Soli. Con una domanda sempre più pressante: “come fa l’Italia a restare indifferente di fronte alla portata dell’immigrazione?“.

Veronica Adriani

(19 febbraio 2015)

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