L’Alfabeto delle parole che ci mancano: “h” di hotel

 Il silenzio che offende – L’alfabeto delle parole che ci mancano è un progetto della redazione di Piuculture nato dalla considerazione di quanto le parole siano importanti, esprimano e formino il pensiero, rivelino e modellino comportamenti. Dobbiamo essere preoccupati di quel linguaggio fatto di povertà di pensiero, carico di violenza e stereotipi, che domina il dibattito pubblico sull’immigrazione e non solo.

Da qui è partita l’idea di ricercare parole il cui uso possa costituire una barriera al dilagare di quel linguaggio. Ricerca che ha portato alla costruzione collettiva di un Alfabeto ragionato delle parole che circolano poco nella narrazione delle migrazioni. L’ambizione è di contribuire a una campagna culturale in cui coinvolgere scuole, associazioni, testate giornalistiche.


Sempre nella storia gli uomini si sono spostati dal luogo in cui vivevano abitualmente e sempre hanno avuto bisogno di strutture in cui poter sostare nei loro spostamenti. L’albergo è, dunque, il simbolo della mobilità umana e talvolta oggi diventa casa per alcuni.

 

Palazzo Selam
Palazzo Selam (foto di Brigida Costantino)

Hotel: una canzone e tanti ricordi di vacanze

Cecilia Stajano è nata a marzo il 17, adora questo mese e le piace il numero 17, ama i compleanni, li ricorda tutti. Ha 51 anni compiuti e viene da Pisa. Ha vissuto, con i genitori ed il fratello, in altre tre città prima di arrivare a Roma, dove vive da quando aveva undici anni. Cecilia, laureata in Psicologia, è Coordinatrice Innovazione nella scuola e Community Manager per la Fondazione Mondo Digitale, ed è Responsabile nazionale del progetto “Nonni su internet”, alfabetizzazione digitale degli over 60 per accelerare l’inclusione sociale. È anche un Facilitatore Certificato per il metodo “Lego Serious Play”, per aziende e contesti scolastici, “Le mani pensano”. Il suo lavoro la porta spesso a viaggiare e lo fa volentieri.

A cosa ti fa pensare la parola “Hotel”?Come prima cosa mi fa pensare alla canzone Hotel California. Oggi è vintage, non si usa più andare in hotel, ci vai per 1 o 2 notti. Preferisco soggiornare nei B&B.Mi fa pensare ai miei genitori, quando si andava tutti insieme in vacanza. La parola Hotel la associo a grandi strutture alberghiere.

Cosa ti rende felice nel viaggiare?Viaggio molto per lavoro e mi rende felice viaggiare per parlare con le persone, incontrarle. Il viaggio più bello è quello per trovare gli affetti, mia madre vive a Bracciano, mio padre a Bruxelles e mio fratello con la sua famiglia a Cambridge. Ho una nipotina di tre anni che adoro, si chiama Sakura “è la mia insegnante di inglese”. Mi piace viaggiare in treno. A 18 anni ho girato tutta l’Europa con l’Interrail. In città mi sposto con il trasporto pubblico, cerco il contatto con la gente.

C’è un bel ricordo di viaggio che ti piacerebbe condividere?
Ho un bel ricordo di un viaggio in montagna, sulle tracce dei dinosauri, con un mio amico paleontologo, in Val Maira in provincia di Cuneo, dove ho visto tante marmotte.

Quale è il paese che visiteresti più volte?
È l’Italia il paese che non mi stancherei mai di visitare, ogni posto è diverso, c’è una varietà di risorse, di paesaggi e di tradizioni. Ho visitato tanti paesi europei e la mia impressione è stata di vedere cose uguali in ogni posto, non ho trovato le diversità che ci sono nella nostra terra.

In cosa si differenzia la parola “casa” da “hotel”?
L’Hotel è impersonale, mentre a casa ti puoi abbandonare, hai le tue cose.Mi piace la parola casa, un nido, un appartamento non grande ma accogliente, funzionale, mi piace molto arredarla. Quando entro in casa mi devo identificare. Arrivata a Roma mi sentivo disorientata in una città così grande. Ci sono voluti venti anni prima di riuscire ad ambientarmi. Ho cambiato quartiere varie volte, mi definisco “una professionista dei traslochi”.

Come è cambiata la tua routine in quarantena?
Finalmente sono stata a casa. Da sedici anni esco la mattina presto e torno la sera. La quarantena mi è servita per vedermi allo specchio, ero in un turbine. Adesso con la quarantena ho goduto della mia casa, ho comprato un mobile che desideravo, ho imparato ad avere degli spazi e mi piace tenerla molto ordinata. Mi sono dedicata alla zona verde del mio balcone. Un altro cambiamento è che con la quarantena non ho lavorato la domenica. Ho fatto un corso di trucco e delle formine all’uncinetto. La mia giornata tipo è: sveglia presto e fino alle 9 mi dedico a me, alle cose che arricchiscono la giornata e poi a lavoro. Dal lunedì al venerdì, rigore.

Quali saranno le conseguenze del virus dopo la quarantena?Personalmente mi sento frastornata da questa fase 2. Ogni sera chiamo una persona cara diversa. Impareremo qualcosa, dare valore alle cose, più rispetto. Ci saranno tante nuove povertà. Si sono attivate molte solidarietà e mi auguro che resteranno.


Hotel: un viaggio temporaneo

Tareke Brhane è nato a Tenesey, al confine con il Sudan, viene dall’Eritrea. Ex rifugiato politico, oggi cittadino italiano, lascia la sua terra ancora minorenne, dove studiava e viveva con la madre. Dal 2012 vive a Roma, è sposato e ha due bambini: Michela di 8 anni e Simone di 6. Qui lavora come consulente e mediatore culturale per minori, è il Presidente del Comitato 3 Ottobre e ideatore del progetto “P(r)onti per l’accoglienza” – Lampedusa. Tareke è anche Superman, il supereroe col mantello, protagonista di uno dei dodici racconti narrati nel libro “Anche Superman era un rifugiato: storie vere di coraggio per un mondo migliore”. È stato scelto dagli autori per il coraggio al cambiamento. Il suo superpotere è parlare e testimoniare. Nel 2014 ha vinto la medaglia per l’attivismo sociale al Summit dei Premi Nobel per la Pace.

A cosa ti fa pensare la parola “Hotel”?La parola Hotel mi fa pensare al benessere, alla ricchezza, al relax perché non fai niente, al viaggio, alla cultura, tante cose diverse: come propongono la colazione, la decorazione. Mi fa anche pensare al “Palazzo Selam”, nel quartiere Romanina, l’esterno è bello ma all’interno cambia tutto.

Viaggi spesso?
Sì, viaggio molto spesso per lavoro. Tutto l’anno giro l’Italia da nord a sud, tutte le scuole, due per ogni regione e anche le scuole di altri paesi dell’Unione Europea. Sarei dovuto andare in 15 paesi europei ma il coronavirus ha fermato tutto.

Cosa ti rende felice nel viaggiare?
Vedo il viaggio come arricchimento e mi rende felice viaggiare perché conosci gente diversa, gente accogliente, contesti diversi. Al nord sono formali. Al sud ti senti a casa. Quando arrivo nella scuola di Siracusa neanche passo in albergo, i ragazzi hanno già organizzato con la famiglia o prenotato il ristorante.

C’è un bel ricordo di viaggio che ti piacerebbe condividere con noi?
Ho un bel ricordo di un viaggio fatto in Norvegia con la mia famiglia. Siamo stati vicino al Polo Nord nella località Troms, abbiamo visto l’aurora boreale e le renne. Il viaggio a Siracusa è quello che mi fa sentire bene, mi ricarica.

Quale è il paese che visiteresti più volte?
Ne visiterei tre, il Portogallo, la Norvegia e la Svezia.

Ci racconti la tua esperienza di viaggio verso L’Italia?
Ho lasciato l’Eritrea a 16 anni grazie all’aiuto di mia madre, senza sapere se sarei mai riuscito ad arrivare vivo. Mia madre è stata la mia forza per andare avanti e non arrendermi, e lo è ancora oggi anche se non c’è più. Ci sono voluti 4 anni per raggiungere l’Italia. Dalla Libia sono arrivato in Sicilia, a Siracusa. Dopo tante difficoltà, ci sono state persone che mi hanno aiutato, facendomi sentire a casa. I miei studi non sono stati riconosciuti in Italia e ho frequentato una scuola serale per il diploma. Ricordo con affetto ed emozione la mia insegnante di Italiano, in Sicilia. Mi ha aiutato ad integrarmi e a costruire qualcosa di buono, e anche a perdere l’inflessione dialettale. A volte non riesco a pensare al Tareke di ieri e quello di oggi.

L’accoglienza in Italia è adeguata per chi arriva?
Sono arrivato in Italia nel 2006 e la stazione ferroviaria era il mio Hotel. L’Italia è molto brava per il salvataggio in mare. C’è una mala gestione, una truffa, trasformare un hotel fallito in struttura di accoglienza. Difficile gestirli in quel contesto.

In cosa si differenzia la parola “casa” dalla parola “hotel”?
La parola casa significa vita, protezione. È stabilità, famiglia, un progetto.Mentre in hotel sei sospeso, temporaneo, di passaggio.

Come è cambiata la tua routine in quarantena?
Ho messo ordine ai miei pensieri. Mettersi in gioco, adattarsi, tornare indietro nel tempo, a cosa vuol dire la convivenza, condividere, capire e far capire cos’è la libertà. Riguardo al lavoro non è cambiato niente. Ho continuato gli incontri online.

Quali saranno le conseguenze del virus dopo la quarantena?
Chiudersi, diventare egoisti. Riflettere su quello che abbiamo, il nostro benessere, apprezzarlo.

Brigida Costantino
(7 luglio 2020)

 

 

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