Il diritto di aborto, diritto europeo. Parla Mirella Parachini.

A 46 anni dall’approvazione della legge 194,  il 22 maggio 1978, il dibattito sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza resta aperto.

Tano D’amico – Roma 1977 – Manifestazione delle donne – Siamo tutte a piede libero

Una realtà non solo relativa a quanto accade in Italia, tanto che il Parlamento Europeo ha sentito la necessità di chiedere l’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (modifica dell’articolo 3 della Carta) affermando che, “Ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo.. all’aborto sicuro e legale”. La proposta ha ottenuto 336 voti favorevoli contro i 163 contrari. È stato un sì simbolico perché la modifica della Carta dei diritti europei richiede l’unanimità dei 27 Stati membri e ci sono Paesi europei tradizionalmente contrari all’aborto.

In Italia, il diritto ad avere la possibilità di abortire entro i primi 90 giorni (art. 4 della L.194)) in un ambiente protetto è sembrato essere un diritto acquisito, “Tanto che, quando vado nelle scuole a presentare i dati relativi all’aborto e a spiegare cosa prevede la legge 194, parliamo di ragazzi dai 15 anni in su, nessuno sembra molto interessato all’argomento, mostro le diapositive che ho diligentemente preparato per esporre le problematiche connesse all’aborto e i ragazzi giocano col telefonino. Alla fine della mia esposizione, in un Liceo romano, è intervenuta Mina Welby, ha parlato del fine vita. Non volava più una mosca. Insomma, sono diventata vintage” dice la dottoressa Mirella Parachini, Vicepresidente della FIAPAC (Federazione Internazionale degli Operatori di Aborto e Contraccezione), iscritta al Partito radicale dal 1973, membro di Direzione dell’ Associazione Luca Coscioni.

La dottoressa Parachini  prosegue,  “D’altra parte, i ragazzi più grandi considerano l’aborto non tanto un diritto da proteggere ma un tema caldo, un oggetto di tifoseria politica ma non sanno realmente cosa potrebbe accadere se il diritto all’Interruzione Volontaria di Gravidanza venisse limitato”.

Cosa può fare l’Europa?

Cosa può fare l’Europa per tutelare il diritto della donna che chiede di interrompere la gravidanza?

“Il Parlamento europeo non può intervenire nella legislazione del singolo Paese membro per quando concerne le politiche contraccettive e l’Interruzione Volontaria di Gravidanza ma la proposta di introdurre il diritto all’aborto nella Carta dei diritti dell’Unione Europea è stato un passo importante. Ha ottenuto la maggioranza di voti favorevoli. Se passa la richiesta che le decisioni non vengano più prese all’unanimità allora, avremo la possibilità che il diritto all’aborto sia inserito nella Carta dei diritti fondamentali  dell’Unione Europea. Dobbiamo fare attenzione al linguaggio, in questo contesto è molto importante, ad esempio non si può dire che l’aborto è un omicidio, se così fosse bisognerebbe ricorrere al codice penale (come è stato fino al 1978 n.d.r.). In realtà,  quello che fa paura è che la donna possa decidere del proprio corpo e questo è il presupposto ad una reale parità di genere”.

Da quando fu approvata la legge, il dibattito sul diritto all’Interruzione Volontaria di Gravidanza da parte delle donne non si è mai sopito. Prima dell’approvazione della legge che regolamenta l’IVG, le donne, e non solo quelle italiane, erano costrette ad abortire sottoponendosi a partiche rischiose che mettevano in pericolo la loro stessa vita. Il primo passo fu fatto il 10 marzo 1971 con la legalizzazione della pillola contraccettiva. Non ci sono dati certi relativi agli anni ‘60, ma alcuni studi stimano che il totale degli aborti in quegli anni si aggirasse verosimilmente intorno 1 milione e duecentomila aborti clandestini e 20.000 decessi causati da pratiche abortive poco sicure e effettuate in ambienti non idonei.

La Legge 194/78, gli articoli che vengono disattesi

I movimenti antiabortisti (Pro Vita) contestano la scorretta applicazione della L. 194. Lei cosa ne pensa?

La dottoressa Parachini chiarisce, “Innanzitutto, la legge 194 è una buona legge e piace anche al Governo attuale. Contiene già tutte le indicazioni necessarie ad espletare un aborto sicuro. Direi piuttosto che se vogliamo una piena applicazione della Legge, che garantisca un aborto sicuro, bè allora diciamo che molti articoli della legge (non solo l’art. 2 a cui si richiama il recente provvedimento del Senato che consente alle associazioni contrarie all’aborto di operare all’interno dei consultori famigliari) non vengono applicati nella loro interezza. Ad esempio, l’art 9 della legge (recita: gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate, sono tenuti in ogni caso ad assicurare, l’espletamento delle procedure previste…. e l’effettuazione degli interventi di interruzione di gravidanza, n.d.r.), viene regolarmente disatteso. Gli ospedali dove notoriamente non vengono eseguite le Interruzioni Volontarie di Gravidanza dovrebbero comunque indirizzare la donna verso un’altra struttura. In realtà manca una rete di servizi ed informazioni che soddisfi questa necessità.”

L’alto numero di ginecologi obiettori di coscienza crea un problema per l’espletamento delle interruzioni di gravidanza?

“L’obiezione di coscienza non è un male di per se, non posso obbligare un medico a praticare un’IVG e non è il principale ostacolo all’aborto. Tra l’altro, avere a che fare con un ginecologo che è contrario all’aborto sarebbe negativo per la donna. Ciò che impedisce un corretto espletamento dell’Interruzione Volontaria di Gravidanza è la grossolana applicazione della legge 194. Ad esempio, l’art.5 della Legge impone alla donna un periodo di riflessione di sette giorni. Il medico capisce subito se la donna ha dei dubbi, io stessa ho invitato le poche che tentennavano a prendersi del tempo per riflettere. Se però la donna vuole interrompere la gravidanza, far passare del tempo, oltre a quello che già intercorre fra la richiesta di interruzione di gravidanza e l’emissione del relativo certificato da parte del consultorio o del medico di famiglia è inutile e dannoso. Rimandare l’IVG è un fattore negativo, prima si interviene, meno rischi ci sono per la donna. Secondo le linee guida dell’OSM (Organizzazione Mondiale della Sanità) è essenziale provvedere all’IVG il prima possibile, tutti i medici ginecologi spingono per la pratica V.E.M.A. (Very Early Medical Abortion) perché i pericoli dell’aborto si riducono in modo significativo e perché la pratica insegna che una volta che la donna ha deciso, la riflessione o parlare con persone che cercano di dissuaderla servirà solo a prolungare la sua frustrazione”.

A tale proposito, il tempo di attesa a cui si riferisce la dottoressa Parachini è stimato in 14 giorni per il 78.4% delle donne (dati relativi al 2020) ma ancora l’8,4 % delle IVG avvengono oltre le tre settimane dal rilascio del certificato.

La pillola RU486 ovvero l’aborto farmacologico

Cosa ne pensa delle perplessità relative all’aborto farmacologico, l’utilizzo della cosiddetta pillola abortiva RU486?

“Anche in questo caso viene meno l’applicazione di un articolo della legge 194, l’art. 15 prevede infatti che le Regioni debbano provvedere ad istruire il personale medico sulle nuove tecniche abortive. L’utilizzo della pillola RU486 è ammesso in Italia fino alla nona settimana dalla mancanza del ciclo, due mesi di gravidanza, anche per questo i tempi fra la richiesta di aborto e la sua fattività vanno accelerati. In realtà, il personale non segue i corsi di aggiornamento e molti ginecologi preferiscono continuare a praticare l’aspirazione. Lo fanno perché è una pratica nota ma prevede il ricovero della donna ed è invasiva. In base alla mia esperienza, le donne preferiscono abortire nel loro contesto, c’è privacy e comunque la donna può chiedere di effettuarlo in ambulatorio se si sente più protetta. Queste non sono posizioni politiche ma una procedura medica. In Finlandia, ad esempio, il 98% degli aborti è farmacologico. L’aborto farmacologico è un’opzione alternativa, una tecnica che esiste da 30 anni ed è una buona pratica che per motivi edeologici è stata ostacolata. Assumendo autonomamente, senza intervento medico la pillola RU486, la donna diventa realmente padrona del proprio corpo”.

Correlazione fra aborto e  natalità

Secondo lei la legge sull’aborto (ma a questo punto anche la legalizzazione delle pillola contraccettiva) favorisce la denatalità?

La realtà è che l’illegalità non diminuisce il numero degli aborti e non favorisce la natalità. “Questa è un’altra bugia bella e buona, aborto e natalità non sono due vasi comunicanti. La Francia dove il diritto all’IVG è stato inserito in Costituzione e la donna può decidere di abortire senza fornire alcuna giustificazione, è il Paese con un alto tasso di aborti ma anche un alto tasso di natalità. In Italia, diminuiscono gli aborti ma diminuisce anche la natalità. Inoltre, bisogna dire che in Italia c’è ancora un bassissimo utilizzo dei contraccettivi. A chi obietta perché ci deve pensare sempre la donna rispondo che è meglio e più sicuro che se ne occupi lei, che è la diretta interessata. La discussione sulla legge 194 mi ha sfiancata, sono 45 anni che ne parliamo, tutti ti vogliono o bianca o nera, o è tutto male o è tutto bene, non è così. La legge va migliorata ma in senso inverso a quanto proposto dal Governo con l’introduzione delle associazioni pro-vita nei consultori.  L’articolo 2 invita i consultori ad occuparsi della donna che chiede di abortire e ci si può avvalere delle associazioni di volontariato ma pensare di poter dissuadere una donna dall’aborto significa solo prolungare la sua pena. Poi, parliamoci chiaro, secondo i dati ISTAT del 2021, parliamo di dati che purtroppo sono spesso confusi e datati, gli aborti sono in diminuzione. Il trend è in diminuzione anche se messo in rapporto alla natalità”

Il fatto che l’IVG non incidano sulla natalità viene confermato dal rapporto tra IVG e nati vivi. Nel 1982 il rapporto tra aborti e nati vivi era pari al 17,2, nel 2021 è sceso a 5,3 per mille nascite.

Ad oggi, secondo l’OSM, le complicanze dovute ad aborti clandestini costano, ancora, alla collettività circa 553 milioni di dollari..  Nel 1965, la Romania di Ceausescu vietò l’aborto per aumentare la natalità ma a cinque anni dal divieto il risultato fu solo che la Romania divenne il Paese con il più alto tasso di mortalità materna in Europa e l’87% dei casi era dovuto alle complicanze dovute ad aborti clandestini.

In tutto il mondo, l’aborto clandestino è la causa della morte di 39.000 donne. Nell’80% dei casi l’aborto viene praticato in ambienti malsani, con rimedi casalinghi e da personale non qualificato. Il diritto all’aborto è un diritto garantito, sarebbe anacronistico e dannoso rivedere una Legge che ha funzionato e che anzi andrebbe migliorata nella sua piena applicazione, significherebbe portare indietro al lancetta del tempo

Livia Gorini
23 maggio 2024

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