Memorandum Italia Albania: aggiornamenti e sintesi

Il 14 agosto l’UNHCR ha annunciato che supervisionerà l’attuazione del Protocollo Italia Albania per tutelare i diritti umani fondamentali. L’Agenzia Onu per i Rifugiati ha assicurato che, attraverso il suo ruolo di monitoraggio della durata iniziale di 3 mesi, provvederà a migliorare la protezione dei richiedenti asilo segnalando eventuali incoerenze con la legislazione internazionale. Il coinvolgimento dell’UNHCR, tuttavia, rischia di legittimare un Protocollo che ha presentato fin dall’inizio più ombre che luci sopratutto in materia di diritti, nonché di favorire la delocalizzazione fuori dal territorio UE delle richieste d’asilo. Una questione spinosa considerando tutti i nodi, per la maggior parte irrisolti, di un accordo di cui verrà illustrata qui una breve sintesi.

Era il 6 novembre 2023 quando fu annunciato il Protocollo tra la Repubblica italiana e la Repubblica albanese per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria. Edi Rama, primo ministro albanese, aveva tenuto una conferenza stampa insieme alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i due avevano chiarito i termini dell’accordo: l’Albania avrebbe concesso all’Italia l’utilizzo di due aree destinate alla realizzazione di centri di accoglienza. Le aree in questione sono il porto di Shëngjin, dove i migranti dovranno rimanere il tempo necessario per una prima identificazione, e Gjadër, ex-area militare cinta dalle montagne in cui verranno successivamente trasferiti.

Memorandum Italia Albania: costi preventivati

Secondo la relazione tecnica effettuata dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, il costo complessivo del progetto è stimato in circa 650 milioni di euro in 5 anni.
Gli oneri preventivati per la realizzazione dei lavori per il sito di Shëngjin sono:

  • realizzazione/allaccio infrastrutture: euro 200.000 per l’anno 2024;
  • realizzazione struttura: euro 3.000.000 per l’anno 2024.

Gli oneri preventivati per la realizzazione dei lavori per il sito di Gjadër:

  • realizzazione/allaccio infrastrutture: euro 8 milioni per l’anno 2024;
  • realizzazione struttura: euro 20 milioni per l’anno 2024.

La spesa effettiva per la costruzione dei due centri si aggira sui 30 milioni, ne consegue che i restanti 620 milioni riguarderanno i costi di gestione, il costo del personale e altre spese aggiuntive. Per fare un esempio, solamente il noleggio delle navi costerà 20 milioni di euro ogni anno, sommando a questi circa 6 milioni per i mezzi ed equipaggiamenti, 84 milioni per le trasferte dei funzionari ministeriali e 9 milioni per le assicurazioni sanitarie.
Questi i costi preventivati a febbraio, ma nel corso dei mesi la situazione è cambiata:

  • il 15 aprile, nel decreto Pnrr, il governo ha stanziato altri 65 milioni destinati al ministero della Difesa per la realizzazione dei centri;
  • è stato affidato l’appalto per la gestione dei servizi alla Medihospes stimati in 134 milioni in cinque anni;
  • il 4 giugno, sono stati calcolati 13,5 milioni per il noleggio di una nave privata che trasporterà i migranti da Lampedusa in Albania.

I costi sono pertanto lievitati fino a toccare i 900 milioni, una cifra considerevole per un progetto che molti ritengono fallimentare, considerando le complicazioni emerse già per quanto riguarda i lavori di costruzione.

Memorandum Italia Albania: rinvio della data di fine lavori

Avviati i lavori il 23 marzo 2024, l’intenzione iniziale era di portarli a termine entro il 20 maggio 2024, sulla soglia delle elezioni europee, così assicurava Matteo Piantedosi, Ministro dell’Interno. Tuttavia, la previsione si è rivelata ottimistica e la data di completamento di entrambe le strutture è slittata: in una determina del ministero della Difesa, infatti, la durata dei lavori è stimata in 233 giorni. La data di fine lavori è perciò prevista per il 10 novembre.
Le problematiche che hanno portato a questo ritardo sono molteplici: le aree in cui sorgeranno i centri, in particolare Gjadër, sono prive di elettricità, di fognature e presentano strade dissestate e abitazioni fatiscenti. Per rendere tutto più agibile sono necessarie delle spese di urbanizzazione che rappresentano non solo un problema logistico ma anche economico poiché saranno completamente a carico dell’Italia, così come le retribuzioni per il personale che andrà a gestire e custodire i due centri di accoglienza. Queste strutture, costruite a nostre spese, rimarranno di proprietà dell’Albania che le lascerà in comodato d’uso per la sola durata dell’accordo.

Il punto della situazione

Solamente per cinque anni le autorità italiane avranno diritto di utilizzo su quelle due aree e su ciò che sopra vi è stato costruito ma, assicura Antonio Tajani, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ciò non rappresenta un problema poiché “serve ad alleggerire in Italia il peso della ricezione” dei migranti.
Secondo il Protocollo, i centri potranno ospitare al massimo 3.000 migranti e la presidente Giorgia Meloni ha dichiarato in conferenza stampa che conta di riuscire a dirottare in Albania almeno 36.000 migranti all’anno. Sono state sollevati alcuni dubbi: secondo il cruscotto statistico pubblicato dal Ministero dell’Interno, nel 2023 sono sbarcati in Italia circa 158 mila migranti, il 50% in più rispetto al 2022 e oltre il 13% in più rispetto al 2021. I 3.000 migranti previsti nei centri albanesi rappresenterebbero solamente il 2% degli sbarchi complessivi: la pressione causata dagli sbarchi sulle nostre coste subirebbe un “alleggerimento” veramente esiguo.
Inoltre, si prospetta uno scenario in cui, per assicurare un flusso continuo all’interno dei centri, le richieste di asilo dovrebbero essere approvate o respinte nell’arco di soli 28 giorni. Attualmente, però, le tempistiche non sono affatto così strette: per presentare richiesta di asilo ci vogliono 2/3 mesi, per ottenere l’audizione l’attesa è di circa 2/3 anni e occorre poi attendere il rilascio del permesso di soggiorno. Che tutto questo iter possa essere ridotto a soli 28 giorni appare un’altra previsione fin troppo ottimistica.

Uno sguardo al passato e uno al futuro

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha definito l’accordo italo-albanese come “un modello in linea con gli obblighi previsti dal diritto dell’Ue e internazionale“.
L’’Italia, tuttavia, non è l’antesignana sotto questo aspetto, in quanto un progetto simile era stato già proposto dal Regno Unito che aveva stretto un accordo con il governo ruandese. Conseguenza diretta è stato il “Rwanda Bill”, un disegno di legge che consentiva al governo britannico di deportare i richiedenti asilo in Ruanda. La Corte europea dei diritti dell’uomo aveva però cancellato con un’ingiunzione il primo volo di trasferimento dei migranti dichiarando il Ruanda un Paese terzo non sicuro. L’UNHCR aveva accolto con favore questa sentenza esprimendo profonda preoccupazione per il tentativo di esternalizzazione degli obblighi in materia di asilo e per i gravi rischi a cui i rifugiati erano stati esposti.
Il Regno Unito ha risposto alla sentenza della Corte concordando un nuovo trattato con il Ruanda, riaffermando che è un paese sicuro per i richiedenti asilo e che quest’ultimi non verranno sottoposti a maltrattamenti. Lo scorso luglio è stato proposto un nuovo disegno di legge in cui si stabilisce che chi verrà deportato in Ruanda potrà poi essere ricollocato nel Regno Unito, eliminando così il rischio di respingimento.
L’accordo tra Italia e Albania non è tanto diverso: i migranti intercettati in acque internazionali dalla Marina italiana o dalla Guardia costiera, invece di essere portati in Italia, sbarcheranno nel porto di Shëngjin, verranno identificati in un hot-spot e trasferiti poi in un centro di accoglienza a Gjadër, dove potranno fare richiesta di asilo. Secondo il Protocollo, i migranti dovranno poi essere ricollocati in Italia a prescindere dall’esito positivo o negativo della richiesta.
È lecito porsi una domanda, ossia qual è il motivo di esistere di questi centri se, una volta dirottati in Albania, i migranti dovranno comunque entrare in Italia in un secondo momento. La risposta che ha dato il governo italiano è che ciò rappresenta un modo per facilitare i rimpatri dal momento che verranno spediti in Albania solamente i soggetti rimpatriabili, ossia migranti provenienti da paesi con cui l’Italia ha degli accordi. La Guardia costiera, quando fermerà i migranti in acque internazionali, dovrà quindi procedere a una identificazione diretta attraverso la comprensione della lingua parlata e ciò richiederebbe la presenza costante di mediatori a bordo, fatto che non sempre avviene. Non solo, il Protocollo prevede che verranno spediti in Albania solo maschi adulti e in buone condizioni psico-fisiche, ma è decisamente complicato valutare le condizioni di un migrante appena salito a bordo senza un controllo specifico e adeguato.
L’insieme di queste problematiche ha fatto sorgere più di un dubbio sull’efficacia di questo progetto che, già dalle prime battute, ha visto i costi fuori controllo, un ritardo nella realizzazione delle strutture e una collaborazione passiva da parte dell’Albania. Non rimane che aspettare il 10 novembre per avere ulteriori riscontri, positivi o meno, anche da parte dell’attività di monitoraggio dell’UNHCR.

Alessandro Masseroni
(26 agosto 2024)

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