Il 10 settembre il Foro Italico si trasformerà in un grande villaggio dedicato allo sport, “Il villaggio dello sport in tour”, dove i giovani e le loro famiglie potranno cimentarsi gratuitamente con tante discipline sportive, conoscere i campioni olimpici Alessia Filippi e Massimiliano Rosolino e passare una giornata all’insegna del divertimento e dell’attività fisica prima del grande rientro a scuola.
Seconda tappa del tour partito da Torino che toccherà altre cinque città italiane, l’evento vuole essere anche un’occasione per promuovere lo sport come strumento di integrazione, sviluppo e solidarietà sociale, accessibile a tutti, come testimonia il lavoro della Onlus Sport Senza Frontiere organizzatrice della manifestazione patrocinata da Conad, Sport e Salute e dall’Assessorato ai Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda di Roma Capitale.
Sport Senza Frontiere, un po’ di storia
“Ho sempre creduto molto nello sport e nel suo valore salvifico”, racconta Alessandro Tappa, presidente e fondatore di Sport Senza Frontiere (SSF), “probabilmente io stesso, senza lo sport, avrei potuto prendere strade diciamo alternative e ho sempre avuto una grande motivazione avendo toccato con mano, come allenatore, il potere magico dello sport”.
Come tante cose belle, SSF nasce però anche per tutta una serie di piccoli gesti e felici casualità e così un volume di fotografie delle Olimpiadi di Pechino diventa lo spunto per una mostra fotografica e poi, una volta terminata, le stesse fotografie diventano oggetto di un’asta con l’obiettivo di finanziare lo sport ad alcuni bambini che non avrebbero altrimenti potuto praticarlo. “L’asta fu un successo, e con i primi 5000 euro raccolti fu possibile permettere a sette bambini delle periferie nord di Roma, che ci erano stati segnalati dalla Comunità di Sant’Egidio, di praticare gratuitamente un’attività sportiva. Chiamammo l’evento Sport Senza Frontiere e lo ripetemmo l’anno successivo e, anche grazie a diversi contribuiti pubblici, riuscimmo a raccogliere quasi 15.000 euro ed i bambini beneficiari da 7 diventarono 14”.
Due anni “pilota” nei quali l’associazione, allora solo composta da volontari e simpatizzanti, mosse i primi passi e gettò le basi per quello che sarebbe poi diventato il modello operativo di SSF. “Fino a quel momento eravamo tutti volontari, poi decidemmo di dare vita, per la prima volta in Italia, ad una realtà dedicata e non più occasionale che utilizzasse tutti gli sport come strumento di inclusione per aiutare i minori disagiati dal punto di vista socioeconomico. Così nel 2011, con 23 soci fondatori, nasce a Roma Sport Senza Frontiere.
Sport Senza Frontiere: come opera
Non esiste una realtà analoga in Italia, con la presa diretta dei bambini e delle loro famiglie, una realtà così ben strutturata da aver aiutato, nel 2023, oltre 500 bambini e i loro nuclei familiari, per un totale di circa 2000 beneficiari diretti ed indiretti. “Lavoriamo con un progetto a rete che funziona molto bene e agisce su tre fronti. Abbiamo gli enti segnalatori del terzo settore (come i servizi sociali, case famiglia, scuole, cooperative, Comunità di Sant’Egidio, Caritas) che ci indicano i minori da prendere in carico e con cui stipuliamo degli accordi, dei protocolli. Poi abbiamo le strutture sanitarie che ci supportano e con le quali abbiamo convenzioni speciali, per le visite sportive o anche specialistiche, se necessario. Infine il terzo e nostro più grande alleato, che è quello delle società sportive polivalenti che sposano il nostro progetto firmando un manifesto di valori e dove noi inseriamo direttamente i bambini. In questo momento abbiamo più di 200 società collegate a noi e questo ci permette di coprire quartieri e municipi differenti, offrendo 29 differenti discipline sportive ad oltre 500 bambini”.
Un’Organizzazione che si avvale di tutor, educatori e psicologi che seguono i bambini e le loro famiglie e si confrontano con gli allenatori monitorando i progressi individuali di ognuno. “Ci occupiamo prevalentemente di minori della scuola primaria di primo e secondo grado che sono circa il 60, 70% dei nostri beneficiari e poi di adolescenti, fino ai vent’anni circa. Ci sono soprattutto bambini stranieri di seconda generazione di circa trenta nazionalità diverse, ma la percentuale maggiore è di bambini italiani, se ancora vogliamo fare questa distinzione tra italiani e stranieri nati in Italia. Pochi i maggiorenni, anche se negli anni abbiamo implementato progetti speciali, come per esempio un percorso per diventare tutor dei più piccoli dedicato ai nostri ex beneficiari. Per esempio, ora lavorano con noi una ragazza marocchina ed una ucraina che otto anni fa usufruirono del nostro progetto perché vivevano in situazioni di grande marginalità”. L’obiettivo è di coinvolgere nel progetto i bambini per una durata di tre o quattro anni, ma poi di accompagnarli affinché sia la società sportiva ad assorbirli, pur rimanendo SSF per loro un punto di riferimento, un facilitatore a cui possano sempre rivolgersi
Come continuare a crescere
Sport Senza Frontiere è attualmente presente con uno staff di progetto e con personale dedicato e non volontario in altre 8 città italiane (Napoli, Bari, Domusnovas, Milano, Torino, Bergamo, Trento, Novara) e negli anni ha continuato ad interrogarsi sulle modalità di intervento, volendo fornire risposte di più ampio spettro. “Cerchiamo sempre di rispondere alle esigenze e alle emergenze delle comunità dove operiamo e sebbene lo sport rimanga il gancio centrale del nostro operare, agiamo anche su altre aree e forniamo un sostegno psicologico, educativo scolastico e aiuto compiti, sociosanitario, familiare. Cerchiamo di promuovere corretti stili di vita, di nutrizione e di alimentazione ed un uso consapevole del web e dei social media”. Quest’anno, per la prima volta, alle aree di intervento si sono aggiunti anche il carcere minorile Beccaria e San Vittore a Milano: “usato in questo modo, lo sport diventa veramente una politica di welfare attivo molto potente”.
E per finire, una bella storia
“Ci sono tante storie, ma una in particolare è emblematica perché appartiene proprio agli albori, al primo anno. Pieni di entusiasmo inserimmo al Cus Rugby di Tor di Quinto 5 ragazzini rom e dopo due settimane ricevemmo una lettera di protesta dei genitori che lamentavano la presenza di bambini zingari tra i loro figli. Ma avevamo sbagliato noi perché non avevamo fatto una comunicazione adeguata. Così, per prima cosa, dividemmo i bambini in giorni e squadre diverse perché non facessero massa critica, ma soprattutto introducemmo una mediatrice culturale rom sugli spalti sia per aiutare i bambini a farsi capire, perché molti non parlavano bene l’italiano, sia per spiegare ai genitori il contesto socioculturale da cui provenivano. Noi, nel frattempo, comunicammo meglio le dinamiche del progetto a società e genitori. Dopo un anno Sascio, un bambino rom, divenne il capitano della squadra under 12 del Cus Roma Rugby e i genitori, da soli, autofinanziarono una raccolta fondi per comprare i libri di scuola ai bambini rom del gruppo. La domenica i genitori si organizzavano per andare a prendere i bambini ai campi rom fuori Roma e portarli alla partita. In queste situazioni tocchi con mano il potere che ha lo sport”.
L’appuntamento con Sport Senza frontiere è martedì 10 settembre dalle ore 10 alle ore 16, Foro Italico, viale dei Gladiatori 31. Ingresso Libero
Natascia Accatino
(8 settembre 2024)
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