Visionary Africa: un viaggio alla scoperta della fotografia africana

Dalle origini ad oggi, un seminario per scoprire com’è cambiato nel tempo lo sguardo dei fotografi del Continente e della diaspora

Wsp photography ha offerto, ad un nutrito pubblico di appassionati e fotografi, un’occasione unica di poter viaggiare nella storia della fotografia africana, dalle origini ai giorni nostri.

Uno sguardo ampio sull’evoluzione della fotografia, dalle prime fotografie coloniali scattate in Africa alla fine dell’800 fino ai lavori di artisti contemporanei, figli delle diaspore ed eredi di una cultura in continuo cambiamento, poco conosciuta in Occidente nella sua reale evoluzione e nelle forme di espressione più autentiche ed attuali.

L’incontro, il primo di una serie di quattro, ha saputo trasmettere un assaggio della ricchezza e della varietà di sguardo di un continente su sé stesso, grazie all’approfondito lavoro di ricerca di Alessandra Migani, curatrice dell’evento ed esperta, che ha accompagnato il pubblico alla scoperta di immagini, aneddoti e racconti, lasciandolo con il desiderio di approfondire le opere e le biografie di artisti e fotografi che difficilmente vengono proposti ad un pubblico italiano.

Immagini che in Italia hanno poco spazio

Il passato coloniale italiano, in Africa, è un po’ meno esteso rispetto a quello di Paesi come Regno Unito, Francia o Belgio, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella spartizione coloniale del Continente e dominato territori molto più ampi. Di conseguenza, anche la presenza di artisti, le contaminazioni culturali, gli approfondimenti monografici legati all’Africa, in Italia, sono sempre stati di portata decisamente inferiore rispetto a quelli presenti sulle scene artistiche di altri paesi europei, non necessariamente per mancanza di interesse ma proprio una minore esposizione ad artisti e a forme d’arte legate alle ex colonie, non solo italiane.

La serata organizzata da WSP photography ha rappresentato perciò un’occasione di approfondimento abbastanza rara per gli appassionati di fotografia, di arte e di Africa in generale.

“Da tempo avevo in testa questo progetto, che ho chiamato Visionary Africa, perché volevo condividere l’emozione e l’ammirazione che provo per il lavoro di questi artisti e fotografi”, racconta la curatrice. “Ho deciso di strutturarlo come un viaggio, al quale approcciarsi con cuore aperto e occhi spalancati, perché è possibile viaggiare anche da una stanza e la fotografia offre proprio questo, la possibilità di esplorare luoghi sconosciuti, dove la fotografia diventa quasi un visto. Anche per me questo lavoro è stato una grande opportunità di scoperta e di apertura”.

Gli albori: la fotografia coloniale

L’approfondito lavoro di ricerca di Alessandra Migani parte proprio dagli arbori della fotografia nel Continente, quando i fotografi, spesso ambulanti, spostavano la loro pesante apparecchiatura per documentare i territori coloniali ed i loro abitanti. Le prime fotografie scattate alla fine dell’Ottocento erano infatti vere e proprie cartoline illustrate, dove i “selvaggi” venivano mostrati nei loro aspetti più esotici e primitivi, con l’intento di dimostrarne l’arretratezza e parallelamente di documentare l’Impero e le Colonie, i notabili e i diplomatici. Queste fotografie non sono solo documenti di un tempo passato, ma testimoniano la presenza in Africa della fotografia stessa, con l’apertura di studi professionali dove i primi fotografi iniziarono a dedicarsi principalmente al ritratto. Come Augustus Washington, nato in America nel 1820 e figlio di uno schiavo liberato, che decise di trasferirsi con la famiglia in Liberia dove iniziò a lavorare con il dagherrotipo o Antoine Freitas, il primo fotografo congolese, nato in Angola nel 1901, che dopo aver imparato a fotografare dai missionari britannici aprì il suo studio a Leopoldville, l’attuale Kinshasa.

Gli studi fotografici: il ritratto

Togo, Ghana, Nigeria, Congo Belga, Senegal, Liberia, Mali: all’inizio del secolo aprono i primi studi professionali ed il ritratto diventa un aspetto fondamentale della fotografia africana, non solo del passato ma anche del presente. Da soli, in coppia, in gruppo, in piedi o seduti, con fondali disegnati e pavimenti geometrici, sempre in abiti eleganti e pose studiate, con o senza oggetti di scena, i ritratti dall’inizio del secolo si arricchiscono nel tempo di oggetti e di fantasia, perdono un po’ di gravità ed iniziano a raccontare storie più articolate, documentando sia l’evoluzione del costume che della sua rappresentazione.

Con il tempo, infatti, entrano in scena oggetti che sono simboli del progresso, come radio, motociclette, pistole, cappelli, occhiali da sole, anche un aeroplano su cui pensare di salire con una valigia per un viaggio che porti lontano, come quello disegnato come fondale nello studio di Sory Sanlé, che in Burkina Faso offriva ai suoi clienti la possibilità di interpretare personaggi sempre diversi.

“Processo di intrappolamento del tempo, la fotografia ti offre l’opportunità di riflettere su come eravamo e di rendere reale, nel presente, ciò che siamo diventati”.

Come una spirale, tra passato e presente

La fotografia esce poi all’aperto, e inizia a ritrarre la vita notturna spericolata di Kinshasa negli anni ’60, con i jazz café e le sale da ballo, come nelle fotografie di Jean De Para (1928 -1997), o si occupa di aspetti specifici della cultura e diventa quasi documentaristica, come quella del nigeriano J.D. Okhai Ojeikere, che fotografa le acconciature femminili come fossero sculture, in quanto ricche di significati simbolici e di informazioni. Oppure traduce il desiderio di auto espressione attraverso l’autoritratto, come per la fotografa ghanese Felicia Ewuraesi Abban, classe 1935, la prima donna ad essere invitata a fare parte del padiglione del Ghana alla Biennale di Venezia del 2019. O ancora si occupa di moda, sperimentando con il colore, come fa James Barnor, ad Accra.

Poi la sperimentazione si spinge sempre più lontano e la fotografia diventa espressione di un’idea, di un concetto, una forma d’arte sempre più consapevole e meno legata alla rappresentazione. E allora uno scatto può diventare strumento di rottura e di emancipazione, come quelli della fotografa sud africana omosessuale Zanele Muholi (1971) o quelli della camerunese Angele Etoundi Esamba (1971) che espone orgogliosamente la bellezza del corpo femminile nero, o ancora le acconciature possono diventare messaggi di militanza, come per la fotografa franco ivoriana Laetitia Ky (1996).

Il ritratto, che tanta importanza ha avuto alle origini della fotografia africana, può evolversi ed inserirsi all’interno di cornici tridimensionali, come quelle create con alcune lattine dal fotografo marocchino Hassan Hajjaj (1961), considerato l’Andy Warhol africano per la sua opera pop coloratissima o, all’interno dello scatto fotografico, possono entrare altri elementi portatori di significato, come fa Joana Chumali, ivoriana (1974) che cuce e ricama sulle sue stesse fotografie.

Visionary Africa, nel viaggio breve di una serata, ha comunque permesso al pubblico di comprendere come gli artisti e i fotografi, nati in Africa o figli delle diaspore, continuino ad interrogarsi sulla loro cultura e su un’identità spesso multipla, dove convivono il passato ed il presente, un’identità che ha bisogno di essere compresa prima di tutto dall’interno, per capire cos’è rimasto, cosa si è trasformato e cosa ancora potrà emergere. Un viaggio in continuo mutamento tra passato, presente e futuro.

Natascia Accatino
foto di Alessandro Guarino
(09 febbraio 2025)

 

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