Il NowRuz di Shahnaz da tre anni lontana dall’Iran

"Tra le trame dei tessuti. Storie di donne dall'Iran" all'interno della rassegna "Dispacci da un altro mondo" presso Zazie nel Metró

Se fosse in Iran, Shahnaz si sarebbe preparata a festeggiare il NowRuz, il Capodanno persiano, il 20 marzo, pulendo la casa da cima a fondo, per iniziare l’anno nuovo e salutare la primavera. Avrebbe poi preparato l’haft-seen, disponendo con grazia sul piccolo tavolo i vasetti coi germogli, l’aglio, una ciotola con l’aceto e una col sumac, una mela rossa, i giacinti, una moneta, le giuggiole, magari anche un libro di poesia, uno specchio, una ciotola d’acqua. Avrebbe preparato i dolci da offrire agli ospiti e i fiori primaverili di Sombol per decorare la casa.
Avrebbe comprato un vestito nuovo da indossare e poi sarebbe scesa come tutti in strada ad aspettare Haji Firuz che, vestito di rosso e con il volto dipinto di nero, annuncia l’arrivo di NowRuz cantando e suonando il tamburello.
Avrebbe trascorso la giornata insieme alla famiglia della sorella e all’anziano padre, telefonato alle figlie che vivono in Italia e augurato loro ogni bene, dicendo che le mancavano e che le amava immensamente.
Ma sono tre anni che Shahnaz festeggia NowRuz in Italia.

Le parole scritte che fanno male

Era da poco arrivata con un visto turistico per trovare le sue tre figlie quando il 16 settembre 2022, a Teheran, viene uccisa la giovane Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale per aver indossato impropriamente l’hijab. Le donne scendono in strada per manifestare, il movimento “Donna Vita Libertà” grazie ai social esce dall’Iran e tutto il mondo assiste in diretta alle immagini girate con i cellulari. I messaggi mandati ad un’amica, dove commenta le proteste e l’attivismo delle rispettive figlie, vengono letti ed interpretati come rivoluzionari. Da allora Shahnaz non torna in Iran perché ha paura.

Le parole scritte che fanno bene

Shahnaz è originaria di Isfahan, splendida città del centro dell’Iran, e ha un cuore dolce e ribelle.
Come tante donne della sua generazione ha accettato un ruolo ed un destino, a vent’anni aveva già la prima figlia. Lentamente, anno dopo anno, ha dovuto abbandonare i sogni della giovinezza, la spensieratezza dell’infanzia ed è diventata quello che la società si aspettava da lei.
Quando era una giovane ragazza leggeva sempre e scriveva: piccole storie inventate, poesie. E spesso cambiava il finale delle storie che non le piacevano o che doveva studiare e per questo molte volte a scuola veniva punita: aveva un’anima ribelle, o piena di poesia. Poesia che è rimasta anche quando, diventata moglie e madre, ha smesso di scrivere storie e di cambiare finali, la linfa che l’aveva ispirata non scorreva più.
Forse in Iran la poesia è importante perché, non potendo ritrarre la figura umana per le restrizioni imposte dell’Islam, il bisogno di espressione è stato convogliato nelle parole. Per lei i libri, il cinema, la letteratura, erano importanti, aveva avuto la fortuna di avere due genitori con una mentalità più aperta, poteva giocare libera.
La natura, le persone che incontrava al bazar, la vita: aveva sempre avuto bisogno di esprimersi con le parole, di afferrare ciò che provava, e ora che ciò che era non le bastava e ciò che doveva essere la spegneva, si cercava e non si trovava. La società era capace solo di osservare e giudicare, non di sostenere.
“Mi sedevo in un angolo della mia solitudine, con una tazza di tè tra le mani. A volte mi alzavo, sistemavo le frange bianche del tappeto, poi tornavo a sedermi e continuavo a bere il tè. Passavo l’intero pomeriggio seduta, come una chiave in una serratura arrugginita, fissando la parete di fronte. Poco a poco mi abituai a tutto. Accettai chi dovevo diventare. Acconciai i miei capelli come uno spaventapasseri nei campi, non per scacciare i passeri di passaggio ma per accoglierli, per il piacere del loro piccolo volo sulle mie spalle”.

Cucire i ricordi e le emozioni

Ma forse anche scrivere non era sufficiente ad esprimere tutto e così quando una figlia parte per l’Italia per seguire il suo amore, Shahnaz ricomincia a cucire. Aveva iniziato da piccola, la mamma e la nonna cucivano in casa vestiti e tovaglie patchwork coi ritagli di tessuto. Con gli stessi ritagli di stoffa Shahnaz inizia a cucire piccole bambole di stoffa che assomigliano a sua figlia, intessute di dettagli e di nostalgia. La famiglia, che dopo la separazione dal marito era diventata un gineceo di quattro donne, era ancora più piccola e quando anche la seconda e poi la terza figlia decidono di partire, Shahnaz rimane sola ed altre bambole vengono cucite. Con il tempo se ne aggiungono ancora, per rappresentare persone o momenti importanti della sua vita e diventano simboli, strumenti per esprimere concetti difficili da condensare in parole, dettagli a cui si possono affidare sentimenti, pensieri, ricordi.
C’è una bambola che ha una maglia verde, stringe un fagotto e indossa due scarpe diverse: ad un piede una scarpa col tacco, ad un altro una pantofola. “Quando ero giovane vivevo per me stessa, una volta sposata ho dovuto vivere per un’altra persona”: due scarpe diverse possono esprimere, con una semplicità disarmante, la scissione vissuta in un matrimonio infelice e limitante, che ha rinchiuso nel fagotto tutti i desideri.
C’è una bambola con un chador al quale sono state appuntate delle fiamme di organza: “avevo sette anni e l’Iran era ancora una monarchia. Una mattina sono arrivata a scuola e nel cortile c’era un grande falò dove le maestre buttavano il chador che toglievano alle bambine, io avevo così paura che pensavo che potessero buttare anche me nel fuoco”.
Sotto il chador, in un’altra bambola, si nasconde un libro: “le donne non possono vivere in un giardino pieno di fiori e di uccelli, in un giardino di primavera, possono vivere solo in un giardino autunnale, dove cadono le foglie”. Sopra il petto, un’altra ancora ha ricamato un cuore, “perché non era permesso parlare d’amore”. Un piccolo arazzo, invece, è dedicato alla madre, il cui volto emerge dalle onde del mare. “Mia madre era una donna che non aveva frequentato la scuola ma nonostante questo era una psicologa preziosa, non giudicava mai nessuno e sapeva ascoltare. Aveva avuto un’infanzia difficile eppure con il suo affetto riusciva a conquistare il cuore di chiunque. Aveva un cuore ed un’anima vasti come il mare”.

Desideri

“Voglio raccontare la mia vita, che è anche la vita di molte donne nel mondo, attraverso questi scritti e questi pezzi di stoffa. Donne la cui voce non viene ascoltata. Queste opere sono il riflesso della vita di quelle donne che la società ha limitato e privato di molti diritti umani. Insieme possiamo costruire un racconto in cui la voce delle donne non rimanga in silenzio”.

La vita e l’arte di Shahnaz saranno rappresentate in uno spettacolo autobiografico la sera di Nowruz da Zazie nel metrò, al Pigneto, via Ettore Giovenale 16A alle ore 19 all’interno della rassegna “Dispacci da un altro mondo”.  

Natascia Accatino
(18 marzo 2025)

 

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