Le donne del C.a.r.a. di Anguillara dove finiranno?

Sono più di cento donne e dieci bambini, tre nati in Italia, gli ospiti del C.a.r.a. temporaneo di Anguillara. Circa il 40% viene dall’Eritrea, il 30% dalla Somalia, tre donne sono etiopi e venti nigeriane. Cinque sono le coppie che grazie alla composizione del centro riescono ad avere delle loro stanzette, o meglio, riuscivano ad avere, “da due settimane ci siamo trasferiti a Tivoli per imposizione del sindaco con un’ordinanza di chiusura entro sette giorni” racconta Stefano, operatore del centro, e pare che la prefettura non fosse a conoscenza della cosa.

Metà delle donne ha scelto di non lasciare il C.a.r.a.

Quasi tutte le donne hanno sostenuto il colloquio della commissione per richiedenti asilo, rientrano nell’Emergenza Nord Africa essendo partite dalle coste della Libia. “Sono arrivate con due flussi diversi. Sono approdate a Lampedusa, settanta ad agosto, trenta ad ottobre.”

“La struttura di Tivoli non è comoda come la precedente, inoltre dobbiamo rifare tutto sottostando ai lunghi tempi burocratici: assegnazione del medico, iscrizione a scuola, organizzazione del centro e intanto rischiamo di perdere autorevolezza agli occhi delle ospiti.” Gli operatori sono sia italiani che stranieri, un somalo, due eritrei e due rumeni formati in Italia “i rumeni linguisticamente sono più portati di noi italiani.”

La giornata tipo al C.a.r.a.

La giornata tipo di una donna del centro è l’attesadi una donna del centro è l’attesa. Non può cercare lavoro finché non riceve la risposta della commissione. “Un colonnello dell’aeronautica in pensione ha tenuto un corso di italiano cinque volte a settimana, le eritree sono delle alunne molto interessate.” Tre sono i bambini che vanno a scuola, elementari e medie, e molte le peripezie che gli operatori hanno dovuto affrontare per accompagnarli. “Non abbiamo mai usufruito del servizio del pulmino, siamo stati ostacolati anche dai servizi sociali. Una famiglia rumena che ha i figli nella stessa scuola ci dà una mano”.

In attesa delle risposte della Commissione

Molte riceveranno l’umanitaria, un anno di protezione, “ci sono donne che subivano persecuzioni personali, prenderanno cinque anni. C’é poi chi scappa da contesti socio-politici particolari. In Eritrea scappano per sfuggire al servizio militare. É obbligatorio l’ultimo anno delle superiori, diventa un impegno a tempo indeterminato se chi sta facendo il servizio militare non raggiunge il voto minimo per iscriversi all’universitá”.
Gli ospiti sono in attesa e arrivano da storie difficili; gli operatori si confrontano con realtà forti e ritmi di lavoro sempre in corsa. “La pressione che subiamo è alta, l’assistenza psicologica dovrebbe essere fissa e garantita. Abbiamo bisogno di confrontarci e mettere ordine” spiega Stefano.

Trasparenza, vigilanza e controllo mancano

Trasparenza, vigilanza e controllo sembrano mancare in ogni livello del sistema di accoglienza che in Italia si basa sull’assistenzialismo e non riesce a sviluppare percorsi di emancipazione per i rifugiati. “Ci vorrebbe un albo anche per gli operatori sociali, spesso confusi con gli assistenti sociali”. Stefano fa questo lavoro da anni e ha avuto anche esperienze di unità di strada, nel suo centro la notizia della “buona uscita” di 500euro è arrivata attraverso voci di corridoio, niente di scritto. “Dalla commissione per richiedenti asilo sono state ascoltate tutte donne del C.a.r.a., presto arriveranno le risposte e vedremo come succederà”.

M. Daniela Basile e Gabriele Santoro(20 marzo 2013)