Vita di P.

TorPignattara
TorPignattara (foto da www.romacapitalenews.com)

Se su google cerchi “bangla tour” escono fuori immagini di bellissime tigri del Bengala in mezzo alla giungla. Ma il bangla tour a Roma è un’altra cosa e anche la vita del nostro P. non parla di una tigre. P. è un ragazzo bengalese di 22 anni, a Roma si arrangia come può, tra foulard e cassette di frutta, e una notte è stato pestato senza motivo da alcuni coetanei italiani. P. vive in Italia da quando è appena maggiorenne e non ha alcuna intenzione di andare via.

Una sera di quest’ultima estate P. sta tornando verso casa, a Torpignattara, dopo aver lavorato in centro – è frequente per i bengalesi cambiare spesso lavoro, in quel periodo vendeva foulard, souvenir e oggetti di vario tipo. Non è nemmeno mezzanotte quando alla fermata del 409 – linea che collega via Tuscolana con la Tiburtina, frequentatissima di giorno, decisamente meno a quell’ora – viene avvicinato da tre ragazzi poco rassicuranti. Gli girano intorno finché quello più “ciccione”, come racconta P., cerca il classico pretesto: “perché ci stai guardando male?”.

Inutile la risposta: non vi guardo male, sto aspettando l’autobus”; vola il primo schiaffo, seguito da un pestaggio che dura circa cinque minuti, lui da terra può solo aspettare che gli aggressori se ne vadano, protagonista di un impari 3 contro 1 lungo una strada deserta. P. quella notte non si reca in pronto soccorso, fortunatamente se l’è cavata con una serie di ematomi, ma dopo un paio di giorni decide di raccontare la storia all’avvocato Carlo Scepi, ormai un riferimento per la comunità bengalese della zona e non solo, che proprio nella “roccaforte” di Torpignattara ha il suo studio.

La linea 409 su via di Torpignattara
La linea 409 su via di Torpignattara

Principalmente Scepi si occupa di materie amministrative e penali, riferite soprattutto alle documentazioni sul soggiorno, seguendo iter burocratici e fungendo da consulente, oltre che, a volte, quasi da “assistente sociale” o addirittura “confessore”, con pareri che esulano dal mero ambito professionale su questioni come “il prezzo della bolletta troppo alto”. Avendo a che fare con diverse realtà Scepi descrive la comunità bengalese come quella che in Italia presenta meno problemi dal punto di vista legale, con reati finanziari di lieve entità o legati alla vendita di prodotti contraffatti, ma mai alla violenza.

Ma, ironia della sorte, sembra essere proprio la violenza il motivo scatenante di un fenomeno, denunciato da un’inchiesta di Repubblica, esploso rapidamente e che altrettanto velocemente sta scemando: quello dei cosiddetti “bangla tour”, come li chiamano tra aggressori, specie di spedizioni punitive da parte di adolescenti vicini all’estrema destra romana, mirate a colpire proprio chi si dimostra più mite e meno incline alla violenza o alla vendetta, secondo le classiche dinamiche del bullismo. “I bengalesi sono tranquilli, prendono le botte e non fanno denuncia”, racconta un protagonista dei pestaggi, un vero e proprio “divertimento”.

P. non sa chi siano i suoi aggressori, ma ne riconosce la tipologia: “teste rasate” e atteggiamenti simili nello stile a chi, due anni prima al Pigneto, danneggiò pesantemente l’alimentari dello zio, insieme a un internet point. Ma di sicuro lo sanno gli aggressori: chi ha chiamato in causa il partito di “ultradestra” Forza Nuova è stato proprio uno dei minorenni arrestati al termine di un bangla tour, che si è detto frequentatore della sede dell’Appio da dove partivano le cacce al bengalese. L’avvocato in questi casi preferisce usare il termine “pseudodestra”: simili atti di forza, iniziazioni e violenze gratuite “per scoraggiare l’immigrazione in Italia” – a detta degli stessi “promotori” – in teoria, non dovrebbero avere nulla a che fare con la tradizione politica della destra.

Repubblica articolo sul bangla tour
La Repubblica, l’articolo sul bangla tour (22 novembre 2013)

È da circa un anno che siamo a conoscenza di episodi di questo genere”, commenta Scepi, “all’inizio si trattava di tre o quattro aggressioni di quelle che succedono a tutti, anche agli italiani, cifre basse per destare sospetti…”. Ma dopo un anno parliamo di 50 persone, una media di una a settimana. Cominciava ad apparire un filo comune: vittime sempre bengalesi, zone sempre quelle dove è più facile incontrarli (Torpignattara Banglatown, Pigneto, Largo Preneste, ma non sono mancati altri quartieri come Colli Albani), nessuna rapina (se non inscenata), “moventi” banali come l’occhiata o la richiesta di una sigaretta disattesa, intimidazioni di vario tipo, come nell’episodio in cui un uomo fu costretto ad alzarsi da una panchina in pieno giorno nel parchetto di viale dell’Acquedotto Alessandrino; fu il caso più grave poiché la vittima presentò ferite d’arma da taglio alla mano e all’addome.

Scepi riesce inizialmente a convincere P. a denunciare tutto alla questura, poi la famiglia lo fa desistere, un processo comporterebbe visibilità e con questa aumenterebbe il rischio di ritorsioni. Generalmente è lo “status di irregolare” il maggior deterrente, soprattutto in casi che presentano solo lesioni superficiali: l’aggressione passa in secondo piano davanti all’assenza di documenti, ma una soluzione c’è. L’avvocato può presentare querela a suo nome ed è quello che Scepi ha fatto per conto di P., che risulterà “regolare” da gennaio.

Dopo una trentina di casi sentiti in circa un anno qualcosa è successo: l’attenzione mediatica, la procura della Repubblica che apre un fascicolo contro ignoti, l’interrogazione parlamentare dei deputati Pd al ministro Alfano… ma finché Alfano non risponde le forze dell’ordine non hanno grandi margini di azione, altro non si può fare che richiedere maggiori controlli in strade isolate, ma le risorse sono quelle che sono. Qualcosa di più è possibile almeno dal punto di vista delle cure mediche, già che, da circa un anno, non è più previsto per il personale sanitario l’obbligo di denunciare situazioni di clandestinità: “ma non tutti ancora lo sanno, la diffusione della nuova normativa è fondamentale”.

Brutte esperienze come queste non stanno minando l’idea che P. e i suoi connazionali si sono fatti dell’Italia – “dimostrano sempre una certa stima e rispetto” – ma certo sono più attenti e per quanto possibile cercano di fare forza comune, qualche denuncia inizia ad arrivare, ricorrono a strutture di cura dove si sentono tranquilli e la sera si intrattengono in gruppo. “Bisogna sempre considerare il fatto che sono persone timorose e sfiduciate perché poste a un livello di inferiorità – sociale, economica e lavorativa – di cui sono perfettamente consapevoli: sapevano che da noi sarebbe stata dura”, cercano di prendere questi episodi come “incidenti di percorso”, in certi casi non c’è nemmeno consapevolezza che sia qualcosa di mirato contro di loro. Ma Scepi ne è convinto: “non sarà mai questo il motivo che può spingerli a lasciare il Belpaese, il problema principale è sempre quello economico, solo la crisi può farli andare via”.

In ogni caso sembra che oggi questo “nuovo fenomeno passatempo”, come lo definisce amaramente Scepi, stia andando a finire: “sono ragazzi, anche minorenni, che subiscono lavaggi del cervello da parte di adulti nei contesti che frequentano”. Tanto che, per quanto si sa, la localizzazione è stata limitata a Roma, si trattasse di un vero piano intimidatorio si sarebbe espanso. Anzi ne è sicuro Scepi che finirà, quasi fosse un’agghiacciante moda passeggera: “come quando qualche anno fa gettavano i sassi dal cavalcavia”… paragone che fa capire appieno un qualcosa che in realtà va oltre l’ideologia politica destrorsa e nostalgica, un controsenso già che non è stata vissuta.

Gabriele Santoro e Alice Rinaldi (11 dicembre 2013)