Invito a cena con …giudizio

Il gruppo riunito a fine cena

Leggiamo: “La Rete Italiana Cultura Popolare con il Patrocinio del Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione presenta Indovina chi viene a cena?, progetto diffuso in diverse città d’Italia e nato da famiglie di migranti che hanno sentito il desiderio di aprirsi e aprire le proprie case all’incontro e alla condivisione offrendo una cena speciale, familiare, pensata per chi ha la ‘curiosità’ d’incontrare l’altro’”. Quasi un ribaltamento di 180°, se visto in ottica caucasocentrica, della nota pellicola di Stanley Kramer con protagonista Sidney Poitier. Andiamo.

Palmiro Togliatti, un bel complesso condominiale con il giardino, una casa confortevole. Sappiamo solo che la famiglia che ci ospiterà è bengalese. Ci accoglie al portone Sunil, un amico di Kazi, il padrone di casa. Un bambino, con il suo computer giocattolo, sbircia alla porta il nostro arrivo. Sunil ci fa accomodare nella sala dove ad aspettarci c’è Marcello Buono di ANLI, Associazione Nazionale Lavoratori Immigrati, Corrado Iannucci della Rete e altri quattro italiani che hanno aderito all’iniziativa: Francesco, studente di Fisica, Claudia, architetta, Anna, poliziotta e Sofia, dipendente di banca. Un assortimento notevole per professioni ed età, che va dai 21 ai 45 anni. Ma dov’è la famiglia ospite?

La famiglia è chiusa in cucina da circa un’ora – Taslima, la moglie di Kazi, ancora non si è vista – mentre si parla di tutto, in particolare di cinesi, “i napoletani orientali”, come li definisce il partenopeo doc Marcello Buono, per la loro onnipresenza e capacità di “riciclarsi”. Soprattutto si scambiano molte informazioni e molti giudizi: sul fatto che a via Napoleone III non sia rimasto un bar italiano e che ora sono gli italiani ad essere loro dipendenti; sulle vendite esclusivamente all’ingrosso, “tutto in nero, dietro l’apparenza di negozi assurdi con quattro cose appese. Ma che esista tutta questa mafia non è poi tanto vero”. Una comunità più isolata rispetto alle altre, ma per un problema di comunicazione: “è difficile parlare con loro anche in Cina, è che hanno proprio un modo diverso di pensare e di costruire i periodi”.

Sunil e Kazi

Ma parliamo anche dei bengalesi. La loro situazione è complicata, sono 30mila a Roma, divisi tra titolari effettivi di esercizi, perlopiù banchi alimentari, e titolari prestanome dei tanti camion bar che si notano in giro per la città gestiti ­­­­da un’unica famiglia – su cui sono in corso indagini della Procura, anche per presunta richiesta di tangenti agli irregolari sotto minaccia di segnalazione alle forze dell’ordine. Comunque tutti lavorano duro: Kazi per avere questa casa sta tutto il giorno al mercato nei pressi della Galleria Sordi, mentre Sunil ha ottenuto la licenza per un banco di dolci vicino piazza Bologna. La moglie sta a casa con i figli: “è quello il suo lavoro, li porta a scuola e si occupa delle faccende domestiche”.

Per fortuna che a cambiare le cose ci penseranno le nuove generazioni: i bengalesi sono molto legati alla cultura del rispetto verso i genitori, ma oggi anche i loro bambini crescono più “vispi”, in più grazie alla scuola parlano un buon italiano: ci sono famiglie che non si capiscono tra nonni che non parlano niente, madri che sanno dire poche parole e papà che sono una via di mezzo. È proprio il più piccolo spesso a dover tradurre, ad esempio, ciò che l’insegnante dice alla madre nelle riunioni scolastiche: “chissà quanti se ne approfittano!”, scherza Marcello.

Compare finalmente alla porta Sunil, “ma voi dove siete?”, chiediamo. “In Bangladesh si pensa anzitutto a far star bene l’ospite, per cui solo dopo che ha consumato il pasto il padrone di casa mangia, altrimenti non riesce a servirlo al meglio”. “No un’altra volta da solo non mangio, dai” lo canzona Marcello, e Claudia, calandosi subito nello scherzo, domanda: “lo fate per vedere se l’ospite sopravvive?”. Arriva anche Kazi e, per la gioia collettiva, si entra in cucina.

La tavola imbandita

Dietro la porta una tavola già apparecchiata con tutte le portate, di tutti i tipi e colori, tanto che Claudia propone a Taslima di andare a cucinare per lei. Involtini di verdura e polpettine di ceci, riso basmati in bianco e condito con il coriandolo, gamberi con lo zenzero, insalata piccante o mista allo yogurt, pollo tandoori, vitello al curry e piccoli pesci fritti marinati alle spezie. Gli ospiti ci fanno sedere, preoccupandosi di qualsiasi cosa manchi mentre mangiano in piedi. La cucina di Taslima è meravigliosa, ma nessuno ha voluto provare a mangiare con le mani come usano i bengalesi: “io non riesco a fare quel movimento con la mano per cui il riso si appallottola come a diventare un unico boccone”, confessa Marcello. Riprende la conversazione, finalmente interculturale… e uguale a prima.

Anche i bengalesi parlano molto di cinesi. E hanno poca simpatia per rumeni, albanesi, tunisini e marocchini. “Noi siamo gente tranquilla”, dice Sunil riferendosi ai bengalesi, “ci piace la gente tranquilla, mentre immigrati di altre nazionalità con la criminalità hanno rovinato questo Paese”, continua duro ma sempre con il sorriso. La serata entra nel vivo e le persone riunite al tavolo iniziano a fare domande, a soddisfare le loro curiosità, come nell’intento del progetto. Claudia fa una bella domanda: “nel vostro Paese è contemplato l’ateismo?” Sunil fatica a capire il concetto, perché da loro “nessun dio non è possibile”. Il 90% sono musulmani, “ma chi non segue l’Islam è induista (9%, ndr) o buddhista (1%)”. Da niente a troppo dio: “ci sono integralisti a dirti quello che devi fare?” chiede Anna, “no, io faccio quello che voglio, rispondo solo a mia moglie” afferma Sunil – dandole un’importanza che sembra sparire quando si tratta di parlare della vita della donna, quella che sembra un’impossibilità di cercarsi un lavoro che possa darle maggiore indipendenza, come se in fondo ci si “comandasse” a vicenda – “perché i miei genitori non sono qui”, aggiunge ridendo. “Un altro conflitto che hanno con le nuove generazioni, oltre al rispetto, è proprio questo”, interviene Marcello, “l’allontanamento dalla religione”. Un bengalese musulmano praticante deve conoscere l’arabo – “Hasan seguirà una scuola per imparare a leggerlo” – dice Kazi indicando suo figlio, ma rispetto ad altri paesi islamici la lingua del Corano “è solo funzionale alla preghiera, non viene realmente intesa” dice Marcello.

Chiacchiere a cena

Altro tema scottante della serata, la politica… Per un occidentale può sembrare strano non rientrare nel classico schema bipolare tra progressisti e conservatori. I partiti di maggioranza sono fondati più su valori nazionalisti o religiosi come per il Blocco Islamico. Dopo due anni di dittatura militare, con la scusa di ripristinare legalità e trasparenza dopo gli scontri tra Partito Nazionale e Partito Nazionalista, che a voler forzare la chiave di lettura possono essere il corrispettivo di “sinistra” e “destra”, la Lega Awami, coalizione di partiti laici, ha vinto le elezioni del 2009, ma la situazione è lontana dal normalizzarsi. Sono freschissime le notizie di scontri, con due morti e centinaia di feriti, contro la decisione della presidentessa di governo Hasina di archiviare la legge di controllo bipartisan in vista delle prossime votazioni del 2014.

…e quindi la crisi, che accomuna tutti: “se vuoi trovare lavoro lo trovi”, dice Sunil novello Fornero, e anche Claudia è d’accordo. Ma al contrario della ministra del Lavoro, per Sunil significa che nella vita si impara a fare tutto se è necessario. “Sono arrivato attraverso l’Ungheria, a Budapest con un permesso… per business!”, dice ridendo “ma prima ho vissuto in Germania”. Kazi invece è arrivato in Grecia col visto turistico, da lì, nascosto sotto un Tir, è giunto a Brindisi. “Sono qui dal ’93, nel 2005 mi sono sposato e nel 2006 lei è venuta con me. I nostri genitori hanno deciso, ma i matrimoni combinati sono diminuiti, ora saranno il 50%”. Quando Marcello chiede a Taslima “cosa hai pensato quando hai visto il tuo futuro marito?” si intimidisce, sembra cercare qualche parola in italiano per rispondere, ma alla fine niente. Anche lei è una mamma bengalese che parla poco l’italiano, ma per fortuna Hasan parla abbastanza bene entrambe le lingue. “Non possiamo avere altri figli” dice sconsolato Kazi, per via del Pacchetto Sicurezza del 2009, meglio noto come legge Bossi-Fini che prevede nel domicilio metri quadri minimi per ogni straniero: 14 per i primi quattro abitanti e 10 per i successivi. L’allargamento del nucleo familiare comporterebbe un forzato trasloco in un alloggio più capiente, con conseguente lievitazione delle spese.

I dolci: il cham cham (a sinistra) e il kheer

Taslima è sempre silenziosa e in disparte, mentre alla domanda “torneresti nel tuo Paese”, Sunil risponde di no, “sono le donne a sentire molta nostalgia del Bangladesh”. Probabilmente perché un conto è avere la propria lingua, famiglia e amici intorno, un altro è essere isolate in casa, con una vita sociale prossima allo zero. Taslima ci serve le ultime portate, un dolce fatto di zucchero, burro, latte e cardamomo, quasi un marzapane speziato, e un altro dessert a base di riso e latte. Diamo la nostra offerta, accettata controvoglia, e salutiamo.

Lungo la strada del ritorno ripensiamo a un’atmosfera strana, divisa tra pregiudizi – nel senso letterale del termine – e buoni propositi che ha comunque portato una conoscenza più stretta rispetto a quella che gli italiani normalmente sperimentano, nonostante si viva ormai in una società molto mista. Il pregiudizio per l’antropologia è semplicemente uno schema mentale che aiuta l’orientamento umano nella complessità sociale, il problema è quando vi ci si rinchiude. Notandone un alto tasso anche tra chi nutre curiosità per gli altri – curiosità in questo caso un po’ pilotata e non reciproca – viene spontaneamente da chiedersi “e chi non ne ha?” Forse è questa strana sensazione di conflitto tra culture, buone maniere e sottile razzismo, il primo pezzo di strada necessario da percorrere per cercare di andare oltre le apparenze.

Alice Rinaldi e Gabriele Santoro(20 dicembre 2012)