Ritratto di ragazza: Jingwen aspirante designer di gioielli

“Il mio sogno è quello di poter diventare una disegnatrice di gioielli qui a Roma”. Questo il desiderio di Jingwen Li, ragazza cinese di 25 anni dal 2005 in Italia. Ha in tasca il post diploma dello IED -istituto europeo di design- ma “dopo i tre anni di studio nel corso di design del gioiello, non sono riuscita a trovare lavoro nel settore” così da un anno e mezzo è addetta alle vendite alla boutique di Luis Vuitton a Via Condotti, “per chi sa il mandarino come me è più semplice trovare lavoro in questi negozi perchè i clienti che spendono di più in questo periodo sono proprio i cinesi”.La storia di Jingwen sfata i classici stereotipi che associamo a tutti i cinesi: sono chiusi, non parlano italiano, pensano solo al lavoro. Seppur alcuni pregiudizi sono difficili da smentire, il racconto di Jingwen ci mostra una nuova realtà che sarebbe riduttivo considerare un’eccezione alla norma. Appena diplomata, nonostante i consigli dei suoi professori di intraprendere la carriera forense, “ho capito che volevo girare il mondo, conoscere nuove culture e viaggiare. Mia madre, che è il capofamiglia, mi ha appoggiata ed ha creduto in me. Così sono partita e l’ultima raccomandazione che tutti i parenti mi hanno fatto è stata ‘non frequentare assolutamente ragazzi italiani’, perché la generazione dei miei genitori vede la cultura occidentale sessualmente troppo disinibita. Ma io ovviamente mi sono fidanzata con un romano” spiega ridendo.Nel Bel Paese Jingwen arriva allo sbaraglio, non conosce nessuno. Il primo mese lo trascorre a Firenze, si iscrive ad un corso di italiano al Cepu. Poi si trasferisce a Siena “qui ho studiato per tre mesi la lingua all’Università per stranieri e ho fatto il test finale per l’attestato. Infine sono venuta a Roma. Mi sono subito innamorata della città e dopo poco ho iniziato il corso per disegnatrice di gioielli”.Jingwen parla bene l’italiano ma riconosce che “ molti dei miei compatrioti limitano la conoscenza della lingua del paese ospitante ad un dizionario base o commerciale, che può essere utile alla loro attività imprenditoriale. Bisogna capire però che i cinesi sono molto timidi e severi, probabilmente la paura di sbagliare li blocca, limitando così la loro integrazione”. “La conoscenza dell’italiano per me è stata fondamentale per fare nuove amicizie” ma ammette “che con le mie amiche cinesi, che ho conosciuto a Roma, ho un legame più forte, c’è una amicizia più profonda forse perché ci si comprende meglio e si condividono le stesse esperienze e difficoltà, come la nostalgia della propria terra”. Non è raro per chi emigra avvertire la mancanza dei profumi, dei sapori e dei luoghi del paese d’origine, “dopo i primi mesi in cui sono stata benissimo, perché ero eccitata da questa nuova esperienza alla scoperta dell’Italia, ho attraversato un periodo di profonda nostalgia della Cina ed ho anche pensato di tornare. Ma ora il mio futuro lo vedo qui. Mi sono abituata ai ritmi e ai tempi italiani, non potrei più vivere nella frenesia lavorativa cinese”.L’ultimo suo rientro in patria  è stato durante il capodanno cinese, a febbraio, ma spiega: “ho evitato di tornare nei primi giorni del Chun Jie perchè tantissime persone si spostano e il traffico aumenta a dismisura. Ma ho festeggiato con il mio ragazzo, sono andata a mangiare in un ristorante cinese. In Cina il capodanno è un po’ come il natale in Italia, serve a riunire le famiglie. Quando ero piccola il primo giorno, che il più importante, si andava sempre dai genitori di mia madre o di mio padre, e il secondo giorno dagli zii. Ricordo – aggiunge ridendo – che non erano rare le discussioni per stabilire da quali nonni e da quali zii scegliere”. 

Melissa Neri(14 Luglio 2010)