Dio ha dato gli orologi agli svizzeri, il tempo agli africani

Il tempo non esiste. Il tempo esiste nel momento in cui si cerca di misurarlo. Sono gli intervalli sociali che creano il tempo e, siccome variano da cultura a cultura, così anche le concezioni del tempo variano culturalmente. Basti pensare che per alcuni siamo nell’anno 2012, per altri, secondo il calendario islamico, oggi è il 1433. Queste le premesse di Geografia del tempo: la concezione del tempo tra culture e individui, un Dialogo tra Marco Aime, antropologo culturale e uno dei curatori della mostra Homo Sapiens – prorogata fino al 9 aprile al Palazzo delle Esposizioni – e Robert V. Levine, psicologo sociale presso la California State University di Fresno. L’incontro si è svolto domenica 22 gennaio 2012 nell’ambito del Festival delle Scienze all’Auditorium.

A geography of time, i paesi del mondo dal più veloce al più lento. Il titolo dell’incontro deriva proprio da un testo di Levine, A geography of time, le nazioni viste come differenti ritmi di vita. In una classifica mondiale, stilata attraverso vari parametri, Levine ha definito il paese più veloce e quello più lento: Svizzera e Messico. Sarà un caso proprio la Svizzera, il paese che ha inventato gli orologi, il tentativo umano di imbrigliare il tempo e lo schiavismo conseguente delle scadenze e delle categorie del ritardo, di chi è lento e chi è veloce? Come un detto congolese che dice: “Dio ha dato gli orologi agli svizzeri, il tempo agli africani” e che riflette infatti il tempo africano che va “pole pole” (“piano piano” in Swahili). Ma sorprende la posizione dell’Italia. Al secondo posto tra i paesi più veloci c’è l’Irlanda, al terzo posto la Germania, al quarto il Giappone, ma solo al quinto l’Italia! Ci definiscono immobili e polentoni, eppure i nostri ritmi di vita sembrano piuttosto stressanti. Perfino l’efficiente America è al 16esimo posto. Agli ultimi posti, il 29 e 30, tra i più rilassati poco prima del Messico ci sono il Brasile e l’Indonesia. I paesi veloci sono risultati non inclini a dedicare il proprio tempo agli altri, d’altra parte risultano i più felici. “Una delle prime cose che si sono dette sul tempo è che ‘il tempo è denaro’, il che sembra irragionevole: il voler dare al concetto più immateriale la definizione più materiale. Eppure il tempo è considerato un bene talmente prezioso che per punirci ce lo levano: in America non si sconta una condanna, si sconta il tempo”.

Studiare la puntualità. Un altro interessante studio condotto da Levine riguarda proprio la puntualità. Vi siete mai chiesti come fanno gli insegnanti a sapere quando finisce la lezione senza dover guardare l’orologio? “Un insegnante non ne ha bisogno perché a fine lezione, sono gli studenti a guardare l’orologio, sempre di più”. Levine ha studiato la puntualità in America e in Brasile, rivelando per quest’ultimo ritardi molto più frequenti, consistenti e vissuti con meno ‘sensi di colpa’. Levine chiese anche agli studenti “come visualizzate la settimana?”. I disegni erano tutti diversi, ma tendenzialmente i sette giorni erano come sette scalini, che salgono fino a un certo punto e poi scendono con un bellissimo sabato in caduta libera.

Il tempo nel mondo, tra natura, orologi ed eventi. Esiste dunque il tempo della natura che è ciclico e lineare, mentre tra gli uomini c’è quello dell’orologio e quello degli eventi. I popoli che vivono gli eventi non guardano l’ora: “gli eventi partono e finiscono quando i tempi sono maturi”. In Brasile una festa inizia quando deve iniziare e finisce quando deve finire. “Mas o menos”, “specificano” in Messico dove è diffuso il detto “dar tiempo al tiempo”. A Trinidad invece si dice: “ogni tempo è tempo di Trinidad”, un paese in cui qualsiasi ora è buona per la festa o per dormire. Mentre in Brunei ci si chiede: “e oggi che non succederà?” Ad Haiphong, in Vietnam, la gente non sa quanti anni ha, perché per loro è superfluo definire l’età con un numero. Si nasce sempre in concomitanza di qualcosa, allora dicono per esempio: “sono nato quando mio zio è uscito in barca”.

Uganda. Prima della colonizzazione in Uganda ogni sovrano sceglieva la città dove stabilirsi, alla sua morte bisognava abbandonarla: il significato profondo di questa usanza era sottolineare che il re non è radicato e che è necessaria una transitorietà del potere. Nessuna città doveva essere considerata più importante di altre, addirittura, le regole venivano sospese fino alla scelta della nuova capitale. Le città non si dovevano mai ripetere e anche tutti i funzionari venivano cambiati.

Nuer - da flickr.com

Sudan Sud. Le ricerche pioneristiche dell’antropologo Edward Evan Evans-Pritchard sulla popolazione dei Nuer, allevatori stanziati nell’attuale Sudan del Sud rivelarono che questo popolo ha due concezioni di tempo: ecologico e strutturale. “Il primo è quello ciclico, con archi di tempo ridotti, dove l’attività crea il calendario e non viceversa: noi diciamo che piove perché è Marzo, loro dicono che è Kur perché si pesca, nel momento in cui l’uomo riesce effettivamente a fare una buona pesca”. Al contrario il tempo strutturale è quello lineare, si basa su avvenimenti più lunghi, sulla propria storia e genealogia, attraverso i riti delle classi d’età che scandiscono il tempo.

Alpi italiane. I montanari delle Alpi non utilizzano l’ora legale, nonostante ne sono perfettamente a conoscenza. “Anche qui sono le attività a determinare il tempo: alle cinque o alle sei non importa, la mucca va munta”. Inoltre danno un valore diverso al tempo e a ciò che a esso è relazionato: il tempo dell’inverno per esempio vale meno di quello primaverile e quindi anche tutto ciò che è stato prodotto durante quel periodo.

Gli abitanti delle isole Trobriand, arcipelago della Papua Nuova Guinea, e il loro “tempo ecologico flessibile” sono stati studiati da uno dei padri dell’antropologia moderna, Bronislaw Malinowski, nel 1915. I trobriandesi hanno un calendario basato sul calcolo lunare – dalla luna acerba che dopo 10 giorni diventa alta, dopo 13-15 giorni piena, segnando il periodo di festa, infine dopo 20-23 giorni lascia il posto alla grande oscurità. Si arriva così a un mese di 29-30 giorni, per un anno composto da 13 cicli lunari. Ogni 3 anni il calendario si modifica, perché l’inizio del ciclo stagionale dipende da un anellide marino che depone le uova con la luna piena una volta l’anno: secoli di studi matematici non hanno creato un calendario perfetto come quello Trobriand che semplicemente si affida al ritmo biologico di un “verme acquatico”.

Trovare il tempo di godersi il tempo. In conclusione esistono delle entità-tempo non codificate, che però vengono globalmente accettate, come i film che devono durare circa 2 ore. Anche la giornata di 24 ore è un’entità-tempo accettata: Dava Sobel, giornalista americana presente durante il Festival con una sua lectio magistralis, ha raccontato la sua esperienza di vita in un ambiente completamente privo di riferimenti temporali, concludendo che “noi ci adattiamo a una giornata di 24 ore, perché le mie duravano almeno 25”. La mia durerebbe ancora di più. “Il presente si è allargato a scapito di passato e futuro – osserva Levine – abbiamo bisogno di tenerci occupati, di sentirci utili, di non annoiarci. Questa novità dei notiziari 24 ore al giorno, sono distruttivi socialmente. Dovremmo semplicemente fermarci e alzare la testa. Abbiamo paura di non riuscire a ripartire? In effetti ci vuole coraggio a fermarsi. Ma si riparte sempre”. In Giappone, si dà valore al non fare niente perché le ore spese a non fare niente sono solitamente un investimento nella socialità. A Timbuctu, città del Mali, la chiacchiera viene considerata particolarmente preziosa perché nell’aldilà non c’è. Gli abitanti di Timbuctu ti fermano per strada per chiederti semplicemente di chiacchierare con loro, anche se sei straniero. E si fanno quelle cose bellissime come parlare e poi stare zitti. Conoscersi. Non si riesce più a stare zitti insieme. Bisogna trovare il tempo di godersi il tempo.

Alice Rinaldi(26 gennaio 2012)

http://www.youtube.com/watch?v=A3oIiH7BLmg