La terza via Rom

Un’immagine del film “Korkoro” di Tony Gatlif

Nel territorio del Municipio II, a quattro fermate di treno da piazzale Flaminio, dove anticamente era situato l’ingresso nord di Roma e poco lontano dalle mura che oggi abbracciano l’opulenza di Piazza del Popolo, sorge il campo nomadi di Foro italico. L’ultimo censimento dell’insediamento, alle spalle di Monte Antenne e vicinissimo alla Grande Moschea, risale al 1995 quando la popolazione era di 129 persone, ma in merito ci sono dati contrastanti. Alcuni dei bambini rom che qui risiedono frequentano la scuola Guido Alessi su via Flaminia. Ogni martedì e giovedì Ilaria Gaveglia, il referente del progetto di scolarizzazione di bimbi rom della Casa dei diritti sociali di questo campo, li accompagna con il pullmino a scuola, dove li assiste con delle lezioni integrative di lingua italiana. La sua classe è composta da 18 bambini rom, di cui 10 frequentano le elementari, 4 la scuola materna ed i restanti la media.

Rientro al campo

Finite le lezioni, un piccolo pullman blu aspetta i bambini all’uscita per riportarli a casa. Qui incontriamo due ragazzi più grandi che Ilaria non vede da tempo. Ad uno di loro, rimproverato di non andare più a scuola, piace vestire firmato e gironzolare nel campo. Alla domanda di quando ha intenzione di tornare in classe fa spallucce. Un’altra ragazza risponde alla stessa domanda in maniera più colorita.”Se non vuole andare a scuola, cosa ci possiamo fare?” dice il padre del ragazzo. Né la madre, né il nonno – che si sperava esercitasse una maggiore influenza – sono riusciti a convincerlo, neanche con le punizioni. A scuola, dice il padre, litiga e si fa rispettare con la forza.La frequenza scolastica dei ragazzini, mi spiega Ilaria, è regolare soprattutto nella materna e nell’elementare, mentre diventa discontinua nelle medie. Secondo un censimento della Croce rossa nei campi Rom di Roma, citato nel rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, sinti e caminanti in Italia che sarà presentato a Roma l’8 aprile, sui 4.927 rom censiti, l’8,44% ha completato il ciclo di studi elementari e il 13,29% ha conseguito la licenza media. Soltato l’1,10% e lo 0,26% hanno ottenuto rispettivamente un diploma quinquennale di scuola superiore e la laurea quinquennale.Per difendersi, oltre alla forza, una terza via c’è.

Alexian Santino Spinelli, rom, docente universitario e musicista

Alexian Santino Spinelli, rom, docente universitario e musicista, che questa strada non solo l’ha percorsa fino in fondo, e ora insegna a noi caggé (i non-rom) la cultura del suo popolo.
Di cosa tratta il corso di studi che tiene all’univesità di Chieti? Esisteva già da prima che lei insegnasse?No, io sono il primo docente ad insegnare Lingua e Cultura Romanì e soprattutto sono il primo Docente Universitario Rom in Italia. Il corso prevede una parte generale riguardante la storia, la lingua, laletteratura romanì spiegata da un punto di vista antropologico, audizioni di musica romanì, proiezioni di video e film anche in lingua. Quando gli  studenti arrivano hanno tutti i soliti pregiudizi, ma alla fine del corsodiventano veri e propri portatori sani della cultura romanì perché ne apprezzano l´arte e la ricchezza ed imparano un’altra verità su di essa.
Può raccontare il suo rapporto con la scuola? Secondo lei, che ha conseguito il massimo grado di istruzione, la sua figura è anomala nella comunità rom? La mia storia è diversa e simile allo stesso tempo a quella di altri rom. È simile per le tensioni, le inquietudini, le “rabbie represse” che una società inospitale inevitabilmente provoca ai rom. È simile forse anche perlo choc psicologico subito a scuola la prima volta che scoprii la diversitàdella cultura che in me portavo, diversità non accettata dai caggé e vista sotto un’ottica completamente negativa. La formazione culturale è stata determinante per la scoperta della mia diversità in chiave positiva.
Ha incontrato difficoltà nel corso dei suoi studi, e se sì quali? Mi sono sempre impegnato al massimo, ma il “marchio” delle mie origini ha sempre pesato su di me. Erano altri tempi, i giovani Rom di oggi possono usufruire del cammino preparato da persone come me, anche se resta sempre difficile.
Che percezione ha di lei la sua comunità? La ritengono un modello? Spero di rappresentare un modello positivo e la dimostrazione che la terza via è percorribile: non mi sono assimilato, non mi sono allontanato dalla società in cui ho scelto di vivere da Rom e da Italiano. Resto me stesso, pur rispettando le leggi del mio Paese.
I ragazzi della sua comunità seguono i media? Quali prevalentemente? Quale diventa il loro modello di società ideale? Tutti i ragazzi seguono soprattutto la televisione che propone modelli assimilanti e sempre meno pregnanti a livello morale. I giovani si trovano di fronte ad un divario quasi abissale tra l’esempio ricevuto in famiglia – unità, rispetto reciproco, per le tradizioni e per gli anziani – e quello che passa la TV, praticamente l’opposto. È difficile non assimilarsi, per questo è necessaria la preparazione che permetta di conservare il proprio patrimonio culturale.
Se dovesse convincere un bambino rom a proseguire gli studi, lo motiverebbe? I bambini Rom sono coscienti della loro diversità culturale, parlano la lingua romanì e purtroppo sono consapevoli dei pregiudizi a cui bisogna insegnare loro a non dar peso. Solo la cultura li potrà salvare dal pericolo dell’assimilazione e dare loro la forza di difendersi dai pregiudizi.

Davide Bonaffini
(17 Ottobre 2010)