…ma non avete mai osato chiedere.
I rom sono un popolo particolare, difficile da individuare e descrivere, probabilmente la comunità di persone che più ha nel sangue il senso di libertà e più, per uno strano scherzo del destino, subisce e si auto-infligge restrizioni di ogni tipo: “un dato costante della storia dei rom è la persecuzione, la riduzione in schiavitù, la deportazione e lo sterminio”. Il Porajmos, in lingua Romanés “divoramento”, è il loro, meno conosciuto, “Olocausto”. Basandoci prevalentemente sul “Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia” stilato dalla Commissione per i diritti umani del Senato, anno 2011, che sarà presentato a Roma l’8 aprile, cerchiamo di far emergere alcune verità a partire dai pregiudizi più comuni: ne abbiamo trovati almeno 12.
I Rom sono zingari. Il primo problema: “come li chiamo?” Se ne sentono tante di definizioni, e non solo per razzismo, ma semplicemente perché, essendo un “popolo invisibile” che non ha uno Stato di riferimento, non possono essere chiamati come gli “Italiani” o i “Francesi”. Cerchiamo di capire quale sia quella (più) giusta. I termini per definirli sono almeno 9: nomadi, rom, zingari, zigani, gitani, sinti, rumeni, slavi, caminanti. Nessuno di questi è corretto perché stiamo parlando di una popolazione composta da 12 milioni di persone nel mondo che hanno origini diverse. Nomadi: “ormai è più che altro una speranza” per chi li ospita. Zingari: è considerato dispregiativo, poiché viene dal greco Atzinganoi, “intoccabili”. Rom: è il termine più civile, ma non è corretto visto che identifica solo una parte della popolazione, quella che parla il Romanés (lingua indo-pakistana). Sinti: uno dei pochi “gruppi nomadi o semi-nomadi” rimasti…
I Rom sono tanti, troppi. In Italia ci sono 160.000 rom su un totale di 60 milioni di italiani. “Il 35% del campione degli italiani intervistati sovrastima la presenza di Rom e Sinti in Italia, collocandola tra l’1 e i 2 milioni di persone”. A Roma ci sono 7.200 rom. Nel territorio del Municipio2 c’è il campo “Foro Italico 351” che ospita famiglie rom di origine serba e di altre zone della ex Yugoslavia per un totale di circa 130 persone.
I Rom sono nomadi. Solo il 3% dei 160.000 rom è nomade, a fronte di un 84% del campione degli italiani intervistati che è invece convinto che siano prevalentemente nomadi. Oggi condurre una vita itinerante non è più necessario a livello di ricerca di sostentamento o lavoro: il 3%, ovvero 4.800 rom nomadi, sono coloro che effettivamente svolgono lavori che necessitano spostamenti come i giostrai, i venditori di cavalli o di mezzi agricoli.
I Rom sono rumeni. I rom non vengono solo dalla Romania. Anzi, non esiste alcuna connessione tra il termine “Rom” e il nome dello stato di Romania, piuttosto con la lingua “Romanés” o “Romanì” – unica caratteristica comune, anche se declinata in molteplici dialetti, delle numerose comunità rom – che deriva dal sanscrito e che trova nelle attuali lingue dell’India del Nord Ovest la parentela più prossima. Da questa antica origine indiana, nei secoli le provenienze (e quindi le culture e le religioni) si sono moltiplicate: Balcani, Romania, Polonia, ex Yugoslavia (“dalle regioni meridionali e centrali provengono i khorahané e dalla Bosnia i zergarja, entrambi musulmani, dalla Serbia i dasikané, cristiano-ortodossi, dal Montenegro i rundasha, altri dal Kosovo e dall’Albania”). Molti sono cittadini italiani e di altri paesi comunitari. I Rom oggi vivono prevalentemente in Europa, soprattutto dell’Est.
I Rom sono stranieri. 80.000 rom dei 160.000, ovvero la metà, sono italiani e vivono in abitazioni, case popolari o appartamenti di proprietà. In Italia sono presenti da secoli, le prime testimonianze, risalenti al 1400, parlano di gruppi di girovaghi già descritti come un “problema”: in quel periodo storico iniziò a delinearsi la necessità di creare degli stati omogenei e quindi in quanto “non-cittadini”, venivano considerati automaticamente portatori di diritti minori. Oggi “in Italia Rom e Sinti sono presenti in tutte le Regioni: dai Sinti Piemontesi e Lombardi, ai Rom abruzzesi, cilentani, pugliesi, campani, ai Caminanti siciliani, ai Rom kalderasa, arrivati in Italia sin dalla fine della seconda guerra mondiale”.
I Rom sono pigri. I rom lavorano come qualunque altro popolo, quando riescono a ottenerlo: “essere riconosciuti come Rom è un ostacolo a trovare lavoro, anche per chi aveva iniziato percorsi di formazione lavoro che apparivano promettenti”. Spesso, anzi, si tratta di “lavori pesanti” come quello del manovale, del trasportatore, del raccoglitore e lavoratore di metalli… molti non pensano che i rom non hanno vissuto la Rivoluzione Industriale, essendo all’epoca ancora largamente itineranti, rimanendo così legati a “lavori tradizionali” ormai caduti in disuso: arrotini, ombrellai, artigiani… In ogni caso la disoccupazione è data anche da motivi legati al loro “orgoglio”: i Rom rifiutano spesso di lavorare sotto un capo, soprattutto se gagé (non rom) preferendo al limite l’accattonaggio. Chi lavora per 30 euro al giorno è considerato uno “sfruttato” e i membri tengono in grande considerazione il giudizio della comunità. Quella che viene percepita come pigrizia è in realtà una forma di “amor proprio”, più forte che in altre culture, un altro modo di voler mostrare indipendenza a un mondo che li ha lungamente sottomessi.
I Rom sono tutti poveri / tutti ricchi. I rom come tutti i popoli appartengono a tutte le classi sociali: “sono Rom anche gli imprenditori che girano con i circhi per l’Europa o i grandi calciatori; all’interno dei gruppi Rom c’è una borghesia, un ceto medio, una classe popolare che lavora in mille differenti settori”. Inoltre “nella cultura Rom il lavoro viene tendenzialmente concepito come una necessità per la sopravvivenza e non come un fine, come una dimensione dell’identità.” Per esempio l’attaccamento all’oro non è solo superstizione (“l’argento porta male perché lascia il nero”), piuttosto è un bene più prezioso che facilmente si porta dietro, si mette da parte, si rivende: “avere l’oro in bocca” poi, è il massimo della portabilità. Anche il rapporto con i soldi è esclusivamente strumentale: se esibiti servono a dare visibilità e prestigio, nascosti servono per rispondere prontamente alle emergenze, frequenti per chi conduce una vita altamente precaria. Nel caso più usuale, quello degli sgomberi coatti dai campi, l’avviso della polizia arriva spesso con un megafono, da un giorno a un altro, e in quei casi bisogna essere pronti a ricostruirsi subito qualcosa.
I Rom vivono nei campi. Dei 160.000 rom solo 20.000 vivono nei famigerati Campi Nomadi. E il Campo Nomadi, nato negli anni ’80, è un’eccezione tutta italiana: l’anomalia sta nel fatto che un’amministrazione risponda a un’esigenza abitativa con un campo, usando uno stile di vita ormai largamente superato, il nomadismo, come un paravento per non fare reali politiche abitative. La legge regionale parlava di “Campi di Sosta” che sono diventati di fatto permanenti. Alcuni campi sono comunque insediamenti storici, come il Casilino 900 che nacque con le baracche degli sfollati della Prima guerra mondiale, poi ospitò gli immigrati e oggi i rom.
I Rom rubano i bambini Uno dei pregiudizi più diffusi è quello secondo cui “gli zingari rubano i bambini”, anche se “dal dopoguerra ad oggi nessuna sentenza abbia mai condannato un Rom o Sinti per un simile reato (ad eccezione del caso di Angelica, la minorenne condannata per aver tentato di rapire una neonata a Napoli nel 2008)”. Ma pochi sanno che “esiste anche l’opinione reciproca, ovvero che i gagé, sottraggano i bambini a Rom e Sinti attraverso procedure di adozione. Una ricerca svolta su 7 tribunali minorili in un periodo che va dal 1985 al 2006 mostra che in 21 anni sono stati dati in adozione 258 bambini, di cui il 93% Rom e il 7% Sinti”. Per i rom avere tanti bambini dà prestigio e porta reddito, come si considerava nelle società più tradizionali. Il Rapporto li descrive infatti come un “popolo bambino”: il 40% della popolazione è minorenne, il 60% ha meno di 18 anni, e di questi il 30% ha un’età tra gli 0 e i 5 anni, il 47% ha dai 6 ai 14 anni e il 23% tra i 15 e i 18 anni”.
Alla fine di questa ricerca mettendo su Google “I Rom sono…” ho trovato altri due pregiudizi che sono diffusi direttamente dalla classe politica: i Rom sono anti-igienici (la Lega) e i Rom sono un problema europeo (Berlusconi). Diffondere queste idee generiche e totalizzanti non è sicuramente il modo corretto per cercare di guardare chiaro. Anche perché, come si interrogava Primo Levi, “quante sono le menti umane capaci di resistere alla lenta, feroce, incessante, impercettibile forza di penetrazione dei luoghi comuni?” Una era sicuramente quella di Fabrizio De André…
(continua…)
Alice Rinaldi(24 marzo 2011)
http://www.youtube.com/watch?v=TsC-cOHlCT8