L’aula dei destini incrociati

Alcuni studenti (tra i quali Noemi, Lidia e le altre) insieme all'insegnante Giovanna dell'associazione culturale Italia-Bangladesh (www.progettobive.org)

L’Ambasciata Boliviana accoglie gli studenti d’italiano in una delle sale: sedie foderate di rosso, arazzi appesi al muro e una lavagna dove ancora si legge qualche appunto della lezione precedente. L’esame è vicino; manca meno di una settimana. Sono le cinque e mezza e l’aula comincia a riempirsi. Noemi e Lidia, le prime arrivate, riguardano gli esercizi. Entrambe sulla cinquantina e originarie dello stesso paese ma si sono conosciute in Italia. Le due compagne di banco si aiutano e si divertono, niente da togliere a due allegre liceali.

Parliamo con scope e pentole? “Ho lavorato sempre come badante”, racconta la signora Noemi, “per quattro anni a Rieti. Il paese era piccolo, ho fatto amicizia con molti rumeni. La signora, che non stava bene, spesso diceva delle cose che ho scoperto sono parolacce”. Arrivata a Roma, dopo la morte dell’anziana, Noemi scopre di aver imparato non l’italiano ma il dialetto di Rieti. Parolacce in dialetto. “Non sono più giovane, imparo con lentezza” continua Noemi, “e, sinceramente, a me a cosa può servire imparare a scrivere?”. “Quando si lavora nell’assistenza ci sono poche occasioni di parlare e se non parli non impari”, interviene Zulma, che lavora in una casa di riposo, “ho conosciuto una badante russa, da sei anni in Italia, che non sa nulla d’italiano. Mi ha detto: e cosa vuoi, parlo con scope e pentole!” Lidia, la compagna di banco di Noemi, è babysitter e parla in spagnolo con la bambina di cui si occupa. “Me l’ha chiesto il padre. Così anch’io parlo poco l’italiano, non ho molte occasioni. La bimba ha cinque anni, l’ho vista nascere, siamo legatissime. E’ la mi chiquilla”. Nadia ridendo interviene “le dico sempre che non può parlare così della bimba, sembra davvero che stia parlando di sua figlia”.

Vuoto di memoria. Lidia e Noemi sono spaventate dall’esame. “Mi emoziono e dimentico tutto” dice gesticolando buffamente Maria Ester che da 10 anni lavora in un’impresa di pulizie. Anche gli altri allievi sono sicuri di dimenticare tutto. José uno dei pochi uomini della classe ha due lavori: la mattina accudisce degli anziani; la sera lavora come custode in uno studio legale. “Quando ho ricevuto l’sms dall’ambasciata che annunciava il corso, ne sono stato felice. Per noi uomini è più difficile venire in Italia. Le opportunità di lavoro sono con anziani e bambini e, in genere, preferiscono le donne”. E’ timido e quando parliamo dell’esame si rifugia silenzioso nei suoi esercizi. Tutti parlano piacevolmente della loro vita, dell’Italia e della Bolivia, ma il tema dell’esame genera rossore al viso accompagnato da un sorriso disarmato.

Roma, la nuova casa. Anche le più giovani sono sicure che dimenticheranno tutto il giorno dell’esame. Mabel trentaduenne, lavora da sei anni come babysitter in una famiglia con tre bambini. “Sono arrivata a Roma per caso. Ero andata a Milano da degli zii per andare poi a Ginevra da una mia cara zia. Milano mi è sembrata così bella e moderna. Avevo già il biglietto per Ginevra. Un’amica mi telefona, mi parla di un lavoro a Roma. All’inizio Roma mi è sembrata campagnola e caotica. Adesso non la cambiarei per nessun’altra città al mondo. Ho capito che non è campagnola, è piena di monumenti e la gente mi piace. Adesso c’è tanto da fare, i bambini sono piccoli. Ma in futuro, mi piacerebbe prendere una stanza e costruirmi una vita tutta mia qui a Roma”.

Vivaldi e il romanesco. Arriva Giovanna Scatena, l’insegnante, corregge individualmente gli esercizi e consegna dei fogli con i nuovi compiti. Chiude la lezione con una lettura su Vivaldi. La classe, subito dopo, deve compilare un test vero/falso sul testo. L’esercizio sul ‘prete rosso’ è pieno di tranelli. “L’ho scritto conformandomi ai test degli esami precedenti”, spiega Giovanna. “Ogni nazionalità ha difficoltà specifiche, i bengalesi fanno riferimento alla fonetica inglese e per questo sbagliano spesso la lettura. I boliviani, aiutati dallo spagnolo, si adattano molto facilmente ma parlano in romanesco, ad esempio scrivono ‘se chiama’, ‘me piace’ e si stupiscono quando li correggo. Pensavano di aver imparato l’italiano. L’iniziativa dell’ambasciatore in collaborazione con l’associazione culturale Italia-Bangladesh è unica. I boliviani sono molto aperti e non ci sono formalità e distacco tra l’autorità e i singoli”. L’esame si terrà lunedi 9 maggio con possibilità che si protragga anche il 10, molti studentii presferiscono presentarsi al prossimo, si sentono ancora insicuri. “E’ un esame scritto”, spiega l’insegnante. “Sarebbe bene, invece, ci fosse anche l’orale. Potrebbero, così, mettersi a loro agio, con il foglio di carta davanti si sentono maggiormente in ansia. Il contatto umano per loro è importante”.

M. Daniela Basile(4 Maggio 2011)