Va’ pensiero: Pessoa rivive tramite Botelho

Scena dal film

Dal 4 al 9 ottobre a Roma si è svolto Scoprir Duemilaundici. Seconda mostra del cinema iberoamericano di Roma: in questa occasione il regista portoghese João Botelho ha presentato Film dell’inquietudine (Film do desassossego), première italiana.
Il lungometraggio, trasposizione cinematografica del Libro dell’inquietudine dello scrittore poeta connazionale Fernando Pessoa, non è per il 62enne Botelho il primo confronto con quest’icona lusitana. Proprio il suo primo film Conversa acabada (Conversazione conclusa), del 1980, narra la corrispondenza epistolare tra Pessoa e un altro fondamentale scrittore portoghese, il problematico Mário de Sá- Carneiro, morto suicida dopo una vita in cui l’ossessione è stato un tema dominante, personale e creativo.

Pezzi frammentari. “Il progetto di Film dell’inquietudine era un rischio” – inizia arroccato su una sedia e seguendo un proprio flusso di pensieri Botelho. “Pessoa ha scritto dei pezzi frammentari, poi ripresi dopo un dieci anni, si tratta di oltre 400 pagine. Il tutto è stato pubblicato solo dopo la sua morte. Il che sembra evidentemente lasciare molto all’interpretazione del regista anche nel difficile compito di muoversi bene in un contesto così incerto.
Tenete conto che si tratta di un libro che nel Portogallo  e non solo è quasi circondato da un’aura mitica o mistica, tradotto in 38 lingue. Da noi è probabilmente uno dei libri più noti in assoluto. Pessoa mai avrebbe potuto immaginare tanto successo …”

Un soggetto senza centro, al centro. “Individualista, frammentato, differente dagli stili di scrittura classici, ma che annunciò in qualche modo il futuro … di per sé il volume risale a oltre 70 anni fa. In questo libro si porta avanti un concetto che condivido  molto: cioè che non esista una verità oggettiva. La singola costruzione e percezione  del soggetto ha una valenza intrinseca, comunque meritoria di attenzione. Ciascuno può avere una verità diversa su uno stesso tema, quindi la cosa più importante e che a me personalmente ha attratto, è che questo libro sembra fornire delle istruzioni, un codice sul come sognare … il sogno è la cosa più importante dell’essere umano. Nessuno ti può rubare i sogni, spiraglio su una vita, una progettazione possibile: non solo un tentativo di sognare quindi, ma farlo al meglio. Secondo me la cosa principale non sono i beni materiali, la ricchezza che sono rari, ma saper sognare: le persone possono viaggiare senza muoversi dal posto in cui si trovano … il pensiero è la cosa più importante. In qualche modo il pensiero muove o può muovere il mondo e comunque non può essere controllato. Pessoa, e di questo ho cercato di far tesoro nel film,  è stato in qualche modo
una prova vivente di quanto dico: praticamente non viaggiò mai. Educato nella propria gioventù in Sud Africa questo fu il suo unico spostamento: dai 12 anni fino ai 45 anni quando precocemente morì … non si è mai mosso da Lisbona.
In 30 anni circa ha scritto più di 25 000 pagine,  senza aver pubblicato praticamente nulla in vita, solo un piccolo libro di poesie, Mensagem.”

Come si filma un sogno. “Non si filma, non si può. L’eroe di questo film è il testo, non è neanche l’ apparente protagonista Bernardo Soares. Io credo esista un tabù cinematografico che fa ingiustamente persistere la divisione tra documentario e finzione. Questo film fa convivere anzi compenetra i due “generi”: è una finzione su Bernardo Soares ma è un documentario sul libro di Pessoa … io del testo non ho alterato nulla in senso stretto, mi sono limitato, visto che l’originale sono 400 pagine, a selezionare. Ma gli estratti sono inviolati: non ho riscritto, aggiunto, modificato nulla.”
Dunque niente effetti speciali o simili: come si rende il sogno allora? “Si gioca col tempo, nella finzione del film vengono descritti tre giorni e tre notti di questo protagonista, Bernardo Soares, ma se si guarda l’orologio presente nella stanza che costituisce le prime e le ultime inquadrature del film l’input è chiaro: si passa dalle tre meno tre alle ore tre. Sono passati tre minuti in quella che è la scansione “obiettiva” dei cronometri umani.
I sogni e i pensieri non solo vanno dove vogliono, ma si prendono il loro spazio e generano il loro tempo: questo è insieme il perno concettuale e tecnico registico del film, anzi del libro. E che è un film sul pensiero, sulle potenzialità della mente umana, a prescindere da ogni persona che li ospiti è chiaro: nelle ultime scene Soares non c’è. Perché in realtà Soares stesso è finzione, o creazione intellettuale: era uno degli alter ego letterari che Pessoa scelse per sé. È un film sulla duplicazione, sulla capacità traspositiva, traduttiva. … scenografie o scelte di ripresa permettono al sogno di esistere. Ad es. ho messo attrici diverse, madri, prostitute, artiste, cantanti, che hanno declamato parti di quel che Soares nel testo originale dice: sono diversi tasselli della sua mente. Anche gli esterni sono stati trasfigurati: quando si mostra la Lisbona d’oggi è un collage che è visione soggettiva, molto lontana dalla descrizione: è l’occhio di Soares. Il film parte dal microcosmo della camera studio di Bernardo che sogna progetta possibili vite: i pensieri poi espandono il tempo e poi lo spazio giungendo fuori dal luogo iniziale, ma restando uno specchio del mondo interiore e dei pensieri stessi. In alcuni momenti Lisbona è inquadrata dietro vetri dipinti a mano … forse c’è qualcosa di una scenografia kafkiana.
La scollatura tra tempo del sogno e tempo d’orologio è resa attraverso una trama anti narrativa. Sogno, pensiero, realtà sono accostati per molti versi indistintamente, perché ogni persona è così che li vive, non come li indica l’orologio.

Tre pittori. Si potrebbe vedere nel suo lavoro un esercizio di stile … No, direi una scelta culturale. Il mondo è realmente complesso, relativo per moltissime ragioni e il film e i suoi espedienti, narrativi o anti-narrativi, che siano servono a rendere questo, non è uno sfoggio tecnico.
Come chiave interpretativa pittorica potrei indicare tre pittori: Caravaggio che è luce ed ombra, come nel cinema, ma è metafora degli esseri umani, che depressi dall’ombra cercano di andare verso la luce. Gerhard Richter  pittore tedesco, dipinge in forma di realista ma distorce con operazioni di fuori fuoco e Lucian Freud per la materialità e carnalità dei corpi. La pellicola porta inscritto il loro insegnamento: questo aiuta a costruire un universo film che dia una sensazione di lontananza dalla realtà, ma a partire da una profonda nitidezza dell’immagine.

Dissidenza: la distribuzione accompagnata per mano. L’ultimo film che ha fatto, A Corte do Norte, presentato al festival di Roma tre anni fa, distribuito nelle sale  ha incontrato grandi difficoltà. Quindi ho mutato strategia, invece che distribuirlo in ogni Paese in 1000 sale con 10 persone l’una, ho cercato di farlo arrivare, magari in sole 10 sale che però convogliassero, dopo un lavoro promozionale molto mirato, 1000 persone. Ho comprato un proiettore ad alta qualità che giungesse anche su schermi a 20-30 metri di distanza, ho scelto grandi spazi, … teatri, sale d’opera sinfonica … dall’ottobre dell’anno scorso in Portogallo ho seguito in modo itinerante il film di città in città, facendo sessioni uniche intorno alle quali veniva costruito in qualche modo un evento. Finora per il Portogallo parliamo di 40 000 spettatori, un gran numero per questo Paese. La definisco una distribuzione non di resistenza bensì di dissidenza rispetto a quella commerciale. Nella resistenza una persona perde, nella dissidenza … guadagna.

Marco Corazziari
(18 ottobre 2011)