Piano nomadi e campi attrezzati il Consiglio di Stato dice No

La recente sentenza del Consiglio di Stato n. 06050, pubblicata il 16 novembre 2011, accoglie i ricorsi presentati dall’associazione per la difesa dei diritti dei rom e da due abitanti del campo Casilino 900, annullando la politica dei campi attrezzati degli ultimi tre anni e rendendo illegittima la paventata emergenza rom ed il piano nomadi.

Nonostante ciò il comune di Roma prosegue i lavori per attrezzare il campo de La Barbuta a Ciampino che, isolato dal tessuto cittadino, dovrebbe accogliere 600 rom della stessa etnia tra cui le famiglie dell’insediamento di Foro Italico a Monte Antenne. Lo sgombro del campo che insiste sul nostro territorio è stato approvato con una risoluzione del comune di Roma a fine settembre.

In occasione della presentazione del libro di Ulderico Daniele sul campo di vicolo Savini nei pressi della basilica di san Paolo diverse associazioni hanno parlato del dispositivo del “campo nomadi” e degli effetti che generano.

Sicurezza e costi sono parole inflazionate che le amministrazioni locali hanno adottato per incentivare in trent’anni la politica di segregazione della comunità rom in campi isolati dal contesto urbano. Con il dispositivo dei campi attrezzati e mascherato da emergenza umanitaria, le amministrazioni hanno scelto di investire ingenti risorse per seguire un interesse elettorale anziché per risolvere un problema d’integrazione e di preservazione di una minoranza culturale. Ma sono così tanti i rom?

In Italia ci sono 160.000 rom su un totale di 60 milioni di italiani, a Roma ce ne sono 7.200, per cui un cittadino di origine rom ogni quattrocento italiani. Quanti soldi sono stati spesi per portarli lontano dagli occhi degli elettori? Solo a Roma 32 milioni, 5 mila euro per ogni uomo, donna e bambino presente a Roma, a fronte di una richiesta del sindaco di fornirne ulteriori 30 dal ministero dell’interno. “Le cifre ufficiali stanziate sono un punto di partenza – afferma Carlo Stasolla, dell’associazione 21 luglio. I costi di gestione delle strutture, tra videosorveglianza, assistenza sanitaria offerta direttamente al campo, bonifiche annuali ed altre sono altissime. Siamo spesso accusati di non fornire proposte ma di accusare soltanto. La spesa per i Rom, anche in tempo di crisi, aumenta del 15, 20% ogni anno. Secondo un nostro calcolo l’affare dei campi nel Lazio ha portato ad una spesa di 141 milioni di euro annui complessivamente, ovvero 100 mila euro per una famiglia di cinque persone. Con molti meno soldi a disposizione si potrebbero garantire progetti di inserimento sociale con i fiocchi”. I campi generano quindi un indotto legato alla fornitura di servizi che poi sono soddisfatti da società costruite ad hoc. Come sottolinea la sociologa Isabella Clough Marinaro, della John Cabot university il pericolo non è circoscritto al modo di gestire i soldi da parte della nostra amministrazione. Individui che si trovano a fare da tramite tra la comunità e le istituzioni si trovano poi a gestire le risorse per l’intero campo, generando un’ulteriore economia sommersa ed iniqua nella quale valgono i rapporti di forza tra famiglie.

Nazzareno Guarnieri, presidente della federazione Romanì, lancia un accorato appello per la chiusura dei campi rom

La Barbuta

“non rispondono in nessun modo all’esigenza abitativa di rom che nomadi non sono più. Inoltre la leadership dei campi dev’essere autentica, professionale, non dettata da motivi di convenienza della singola famiglia e dell’amministrazione. Chiunque può prendere cinque persone e formare un’associazione, ma è solo scimmiottare una leadership. Queste persone chi, cosa rappresentano? Dobbiamo fornire proposte, trovare esempi di buone pratiche, incentivarli e monitorare i risultati. In Abruzzo sui 1,5 milioni di abitanti e 5 mila Rom abbiamo cominciato una sperimentazione di fattoria sociale gestita da Rom con risultati incoraggianti. Il nostro sogno è creare un consorzio per permettere ai Rom di essere autonomi e non dover più chiedere niente a nessuno”. Anche l’identità Rom è minacciata. “La cultura Rom sta scomparendo. Troppo spesso si vede folklore, ma non cultura. Dobbiamo ricostruire un’identità che si sta perdendo”. Trent’anni di politica dei campi attrezzati coprono l’arco di una intera generazione. C’è adesso da chiedersi se il problema sia stato risolto e su quale tipo di futuro investire.

D.B.30 novembre 2011