“Il regime iraniano sa che nuove proteste porterebbero alla caduta, per cui previene ogni piccolo movimento con arresti, chiudendo siti internet, governando con la paura. La questione è: quanto potrà proseguire?”. Gli scontri seguiti alla rielezione di Ahmadinejad nel 2009, costati la vita a decine – dati non ufficiali parlano di un numero vicino a cento – di manifestanti, sono vivi nel ricordo di Mahmood Amiry-Moghaddam, cofondatore e portavoce di Iran Human Rights. Il 2 marzo il paese sarà chiamato alle urne per rinnovare il majles,il parlamento o Assemblea Consultiva, organismo legislativo monocamerale composto da 290 deputati ed eletto con il sistema maggioritario.
La maggioranza attuale è saldamente nelle mani dei conservatori, ma al loro interno si alzano critiche nei confronti del premier Ahmadinejad, con lo stesso presidente dell’assemblea Ali Larijani in disaccordo con la sue scelte in campo economico. “I conservatori si sono divisi in correnti che, per la natura fondamentalista, hanno praticamente lo stesso nome, come ‘Fronte per la stabilità della rivoluzione islamica’ e ‘Fronte unito dei conservatori’. Il primo, forse il più integralista, ha come principale esponente Mesbah Yazdi, un ayatollah vicino alla Guida Suprema Khamenei”, l’analisi di Saghar Setareh, 26enne laureanda all’Accademia delle Belle Arti di Roma. “Le sanzioni internazionali stanno isolando il regime ma colpiscono anche il popolo, che per questo bada meno alla politica, deve pensare a sopravvivere”, racconta Neguin Bank, in Italia dal 1997,impiegata nel settore immobiliare e attivista del Movimento Verde iraniano. “Non conosco nessuno che voti, sono tutti concentrati sulla situazione economica”, conferma Saghar.
Requisiti per l’eleggibilità Tra i requisiti per l’eleggibilità in parlamento vi sono l’accettazione del sistema della Repubblica Islamica, il riconoscimento del principio di velayat-e faqih – per cui la shari’a sovrintende ogni azione dell’assemblea – e un master universitario o attestato in studi teologici. “I candidati ‘qualificati’ sono preselezionati dal Consiglio dei Guardiani e appartengono a correnti vicine a Khamenei, che ha recentemente parlato della possibilità di trasformare il paese in repubblica parlamentare. Senza nemmeno il presidente, avrebbe il controllo totale”, la preoccupazione di Neguin. “Il peso del parlamento , secondo la costituzione, bilancia l’esecutivo e il sistema giudiziario. Ma all’atto pratico la Guida Suprema è al di sopra, con il potere di veto”, continua Saghar. “Da quando è necessario essere laureati, per i candidati curdi è diventato ancora più difficile farsi eleggere”, aggiunge Ali Solemainpour dell’organizzazione umanitaria Intersos. “Però nelle zone in cui siamo più presenti riusciamo ad ottenere qualche seggio. Dipende anche dal numero dei deputati di ogni circoscrizione”.
L’opposizione I riformisti stanno cercando di boicottare le elezioni. L’ex presidente Khatami aveva chiesto come contropartita per evitare questa forma di protesta il rilascio di alcuni prigionieri politici come il leader del Movimento Verde Mousavi e Karroubi, reclusi senza possibilità di contatti con l’esterno, libertà di stampa e per i partiti politici, ma non è stato accontentato. “Diverse voci parlano di una situazione senza senso, per cui andare a votare sarebbe inutile. Non c’è un candidato che possa rappresentarti e comunque non gli sarebbe permesso vincere, ecco i motivi del boicottaggio”, spiega Saghar. Le carceri sono piene di attivisti, studenti, blogger, giornalisti, avvocati e difensori civili. “I casi più eclatanti sono Mehdi Khazali e Saeed Malekpour”, prosegue Neguin. “Il primo, ex membro del Consiglio dei Guardiani e in passato sostenitore della Repubblica Islamica. È detenuto ad Evin e sta lottando tra la vita e la morte dopo quasi due mesi di sciopero della fame contro la sentenza a 14 anni di reclusione e 10 di esilio. Il secondo, programmatore di software, condannato a morte per la realizzazione di un sito per adulti mentre si trovava in Canada, paese di cui ha la cittadinanza. Ha confessato sotto tortura e potrebbe essere impiccato in ogni momento”.
Dall’Italia A differenza delle presidenziali, non sarà possibile per gli iraniani all’estero recarsi alle urne, il meccanismo prevede l’elezione dei rappresentanti di ogni città e la residenza è un requisito fondamentale. “Dopo il 2009 la fiducia è quasi azzerata, non c’è stato un clima di partecipazione della gente. C’è indifferenza nei grandi centri, solo in quelli piccoli c’è competizione accesa tra i candidati, per rivalità familiari.” Diversi i mezzi usati per informarsi, se Ali guarda soprattutto canali televisivi curdi,Neguin e Saghar optano per internet e la testimonianza diretta di parenti ed amici in Iran. “Ci sono state proteste pacifiche, scritte sui muri che invitano al boicottaggio delle elezioni o auspicano la caduta del regime. Il 14 febbraio, anniversario dell’arresto di Mousavi e Karroubi, migliaia di persone sono uscite a Teheran semplicemente passeggiando, scambiandosi saluti e segni, con la gente che al semaforo diceva ‘vai che è VERDE’. Ma ugualmente il governo ha fatto stazionare militari e poliziotti anti sommossa, segno che ha paura di una rivolta. E in centinaia sono stati arrestati solo per aver palesato il dissenso, pur in modo pacifico”. “Sono in contatto con l’associazionismo iraniano qui a Roma, stiamo cercando di sensibilizzare sul boicottaggio come disobbedienza civile, anche se resta un tema di cui si parla poco, non c’è grande interesse”, chiude Saghar.
Gabriele Santoro(29 febbraio 2012)