“Ovunque c’è il buono e il cattivo. E’ cosa naturale di Dio. Il giovedì si viene qui per prendere una birra e incontrare gli amici”. Jabbie ha trentanove anni, viene dalla Sierra Leone e lavora in zona Flaminio: autista factotum. Abita sulla Cassia, prende il 201 che fa capolinea a piazza Mancini. Beve una birra con un amico, seduto davanti alla grande fontana inattiva, aspettando, come ogni giovedì, le 18.30, la fine dei corsi di recupero di sua figlia. “Abbiamo scelto di farla venire qui a scuola perchè è vicina al mio lavoro e per qualsiasi cosa la posso raggiungere facilmente”. Arrivato nel 1999 a causa della guerra, perse le sue opportunità agonistiche nel calcio perché non poteva rientrare in patria per recuperare i documenti necessari. Cuoco, imbianchino, factotum. “Nella vita si può imparare tutto. E chi impara capisce meglio ogni cosa della vita”. Adesso la guerra è finita e Jabbie sta aspettando di mettere su un po’ di soldi. “Dopo dodici anni in Italia non posso tornare a mani vuote”.
Il primo controllo dei carabinieri avviene proprio verso le 18.30. Gli stranieri in piazza sanno già che dovranno dar loro i documenti e li consegnano prima ancora che gli siano domandati. “Sono controlli a campione e non hanno legami con disordini o eventi accaduti”, dice un carabiniere. Un gruppo di ecuadoriani continua a giocare a Meboi, un gioco sudamericano simile alla scala quaranta, ma basta una coppia di carte uguali per scendere e chi non ha possibilità di creare scale per più di qualche giro con un “passo”, si tira fuori dal gioco. “Cavallo Bianco”, così si fa chiamare Alfonso, presenta il gruppo come la sua famiglia e descrive con ironia aspetti belli e brutti del carattere di ognuno. Viene da Quebedo ma sottolinea che le donne di Manabi sono le più belle di tutto l’Ecuador. Fa le pulizie negli uffici della Tre. Rosario, quarantenne definita troppo pasionaria, vince ripetutamente e i polsi dei suoi avversari si arrossano: quando non viene scommessa la moneta la punizione per i perdenti è un ripetuto schiaffeggiare con annesse risate dei presenti. Giardinieri, addette/i alle pulizie, domestiche e domestici. I Carabinieri registrati i dati nella loro scheda, chiamano con voce autorevole ma bonaria le singole persone alle quali possono riconseganre il documento. Ognuno mantiene ruolo e posizione ma si intuisce che si conoscono già.
Sotto gli alberi delle grandi aiuole gruppetti meno omogenei, giovani dinamici e orbitanti, con la tipica bachata latino-americana che esce da apposite casse allestite per l’occasione, “ma solo nel finesettimana”. Con loro Cesar Anguilar, conosciuto da tutti come “El burrito”, sessantenne che vive sotto il ponte vicino alla piazza e ha un gruppo musicale con il quale si esibisce a Tor di Quinto. Beve del vino, ha girato tutto il Sudamerica, “come il Che”, parla inglese, francese e greco, vive a Roma da 30 anni, ma non parla l’italiano. Nella sua vita ha “un punto interrotto di cui non vuole parlare”. Accanto a lui ci sono altri peruviani, tra i quali una famiglia con un bimbo che muove i primi passi. Non è l’unico under sedici, ci sono molti bambini che con roller o monopattino girano intorno alla fontana. Jong, trentaseienne peruviano, non è con i suoi figli. “Qui mi rilasso, ma con la mia bambina non vengo: si vuole sempre un mondo migliore per i propri figli”. Ha molti tatuaggi – un cuoricino sulla guancia, “nel mio paese si usa fare piccoli tatuaggi ai bambini” – un abbigliamento da rapper americano, un dente d’oro e quattro pargoli. Tre sono in Perù, l’ultima che da pochi mesi ha fatto un anno è nata in Italia. “In questo momento mia moglie è andata a casa per presentarla alla famiglia e ai fratelli”. Si è occasionalmente aggregato Luìs, quarantenne di Guayaquil, Ecuador. È in Italia da 11 anni con la moglie e due figli, di 13 e 16 anni, entrambi frequentano il liceo scientifico. “Sono molto orgoglioso di loro, lavoro tanto per mantenere la famiglia e permettere ai miei ragazzi un’istruzione, ma sono ripagato. Quando vado ai colloqui con i professori mi tengono due minuti perché dicono che vanno bene e sono educati”. In patria era ingegnere, qui deve adattarsi con quello che trova. “In Italia ci sono ancora troppi pregiudizi, ma io sono una persona onesta che ha studiato tanto, mi spacco la schiena ogni giorno”. Comprensibile che si ritrovi nel finesettimana insieme ad altri amici a bere qualche birra “conosco i miei limiti, so quando fermarmi. E non uso la macchina ma i mezzi pubblici per tornare a casa”.
Piazza Mancini è al centro di polemiche e gli stranieri che la vivono il giovedì condividono il fastidio per alcuni fenomeni. Il parco adiacente il capolinea degli autobus diventa un bagno a cielo aperto, bottiglie lasciate in giro, risse e musica ad alto volume grazie ai potenti stereo delle auto. Se di cassonetti della spazzatura ce ne sono uno ogni cinque passi, i bagni pubblici sono due e a gettone, o meglio euro. Diventa prassi usufruire dello spazio aperto. “Ti fidi ad andare lì?” ride Humberto, peruviano dalle origini genovesi e dalla cittadinanza italiana, 50 anni che non dimostra, sta sempre in piazza. “Io capisco gli italiani: anch’io mi arrabbierei se vedessi gente che non si comporta bene. Poi odio la prepotenza… certo, alcuni italiani sono menefreghisti, se stanno bene loro non se ne importano degli altri. Allora gira questo sentimentalismo barato – a basso prezzo – che serve solo a pulirti la coscienza… non mi piace la religione, vuole sempre qualcosa in cambio”. “Quello che so è che vogliono recintare il parco. Il fatto è che puoi prendere tutti i provvedimenti che vuoi, la gente troverà sempre un posto dove poter bere, ha bisogno di sfogarsi”. Humberto vive a Roma da 8 anni, ha tre figli, due femmine e un maschio, la più grande, 22 anni, vive a Santa Marinella con la madre. Ha fatto qualsiasi lavoro possibile: il muratore, il domestico di una signora ormai deceduta, l’operatore di una ditta di pulizie, il cameriere… ora è in cerca.
I gruppi in piazza sono tendenzialmente divisi tra compaesani, “anche se capita di fare una chiacchiera con gli ecuadoriani, alla fine ci conosciamo tutti”. Ma Humberto è insieme a Marco che viene dal Guatemala – “anche se io sono un Inca e lui è un Maya” scherza. Marco ha soli trent’anni, secondo lui “la questione dell’urinare a cielo aperto si potrebbe risolvere semplicemente mettendo dei bagni chimici, come a San Giovanni”. La media dell’età nella piazza si alza con il calar della sera: i bambini nel pomeriggio bilanciano il chiasso degli adulti con le loro risate. Anche Marco non ha un lavoro, è in ricerca, la formazione in architettura lo ha aiutato in passato a inserirsi come muratore. “Ricordo quando appena arrivato ho lavorato in un maneggio. Ero il babysitter dei cavalli. E’ stata un’esperienza meravigliosa”. E’ alla sua quarta birra, ma non dà segni di ubriachezza né di scontrosità, tutt’altro. Rifiuta di farsi fotografare perché non vuole che la sua famiglia possa intuire la sua tristezza attuale: “posso rimanere senza soldi per due settimane di seguito, ma cinquanta centesimi li avrò sempre per telefonare a casa e dire che va tutto bene e che sono in forma”. Ha passato giorni duri ma racconta solo le cose belle: “le cose difficili le passano tutti e aiutano a crescere. Gli eventi belli, e ne accadono ogni giorno, sono quelli da ricordare per poterli raccontare a figli e nipoti”. A Marco piace conoscere le altre culture, sulla cucina etnica è un esperto: “mangio filippino, peruviano, coreano, messicano… al mercato di piazza Vittorio trovi di tutto”. Vorrebbe aiutare l’Italia, “mi piace la politica, ma non te lo fanno fare! Solo gli italiani possono gridare e farsi sentire”. L’unico italiano, oltre a noi tre, è Natalino, il suo punto di vista è chiaro: “fosse piazza Mancini il vero problema! Qua bisogna cambiare tutta l’Italia! Guadagno 600 euro al mese e mo’ mi tocca pagare pure l’Imu?”
C’è poi chi il lavoro se l’è inventato come Jesus, trentaquattrenne peruviano che vive in Italia da 7 anni, ha un sito dove carica video, notizie e link a tv sudmericane. Si chiama http://www.rukito.es.tl/ e guadagna con la pubblicità. Passano di nuovo le volanti dei carabinieri, sono le nove e mezza, fanno due giri intorno alla fontana e visto che tutto è tranquillo vanno via senza fermarsi. Sono quasi tutti sudamericani, c’è un solo africano dal Senegal, Camarà, i filippini nel frattempo stanno bevendo e parlando, poco più in là, in piazza Manila. “A volte ci sono dei giovani filippini, ma sono di seconda generazione, si fermano qui il pomeriggio, poi vanno altrove”.
M. Daniela Basile, Alice Rinaldi, Gabriele Santoro(11 maggio 2012)