Assegnato il Premio Ivan Bonfanti per il reportage

Ivan Bonfanti

“Sarei onorato di chiamarmi Shaul, come lo sarei di chiamarmi Mohammed. Come è difficile però essere un uomo, indipendentemente dal nome che abbiamo avuto in sorte”, scriveva Ivan Bonfanti, giornalista e inviato di guerra scomparso nel luglio 2008 a soli 37 anni. Le associazioni Ivan Bonfanti e Stampa Romana promuovono la terza edizione del premio giornalistico in sua memoria, “ma dedicato soprattutto ai ragazzi che cercano di farsi strada nel difficile mondo del giornalismo” racconta Laura Eduati, che lavorò al fianco di Bonfanti nella redazione di Liberazione, era la sua compagna e oggi è nella segreteria organizzativa del premio.

“Il mondo del giornalismo è difficile, ma non solo per la crisi generica che stiamo vivendo: se alcune testate stanno chiudendo, nel frattempo ne nascono altre. Per esempio Luca Telese a settembre di quest’anno aprirà un nuovo giornale, Pubblico, ma già ha ricevuto più di 800 curriculum e purtroppo è ovvio che pochi potranno ambire anche solo a collaborare…”.

Laura Eduati

Il giornalista artigiano. “Ma non è solo questa la difficoltà. Negli ambienti giornalistici funziona molto la conoscenza, che non è la raccomandazione. O almeno non quella classica – raccomando mio nipote anche se è incompetente – come succede negli ambienti pubblici, come in politica. Nella carta stampata, nei media in generale, è interesse del direttore avere persone brave, ma la selezione non avviene per cv, avviene per conoscenza: ho letto i tuoi articoli o mi sei stato segnalato da qualcuno che ci capisce. Il lavoro di public relation è fondamentale, ma se non ci sei dentro come lo fai? Quello che voglio dire è che nel mondo del giornalismo c’è meritocrazia, ma può succedere che i più bravi rimangano fuori solo perché nessuno li conosce. Talvolta basta il colpo di fortuna o uno stage all’interno di una redazione, ma la selezione è dura, a volte ingiusta. Pensate al direttore di una testata come un artigiano che ha bisogno di un aiutante: non potrà mai sceglierlo attraverso un curriculum, deve essere messo alla prova”.

“Questo premio vuole essere uno strumento per far conoscere e un aiuto economico, si divide in Allievi e Professionisti, anche se la distinzione ormai è labile: ciò a cui si guarda è se scrivi bene, se hai buone idee, se hai il coraggio di seguirle”. I vincitori di quest’anno sono Azzurra Meringolo, tra i professionisti, dottore di ricerca presso il Dipartimento di Studi Internazionali dell’Università di Roma Tre, che già riuscì a farsi conoscere come testimone degli eventi rivoluzionari scoppiati al Cairo il 25 gennaio 2011, poi autrice del libro I Ragazzi di Piazza Tahrir (CLUEB). Si è aggiudicata il premio grazie a un breve reportage dal titolo Disegni e pallottole – Una nuova battaglia si combatte sui muri, un interessante racconto sui graffiti politici al Cairo pubblicato su Il Riformista; tra gli allievi, Edoardo Malvenuti, che il pubblico ha conosciuto meglio durante la premiazione che si è svolta sabato 16 giugno 2012 presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma. Dall’Egitto alla Slovacchia, Edoardo ha vinto con Slovacchia – Il sorriso ha i denti strappati, intenso reportage sulle condizioni del campi rom dell’Est del Paese, pubblicato su www.sconfinare.net, giornale creato dagli studenti di Scienze Internazionali e Diplomatiche (Sid) di Gorizia.

Edoardo Malvenuti e Azzurra Meringolo dopo la premiazione @ Casa Internazionale delle Donne di Roma - foto di Vittoria Mannu

“Come genere abbiamo scelto il reportage, su web o carta, perché è quello che praticava Ivan”, il cosiddetto slow journalism, “l’attenzione ai luoghi, ai territori, alle persone. Un genere difficile, affidato ai più bravi. Qui è davvero importante una buona scrittura e non si può essere banali. Sia io che Ivan lo amavamo, lui lo praticava in ambito Esteri, io negli Interni”.

Bonfanti amava il giornalismo sul campo. Lontano dalla scrivania e dalle comodità dell’ufficio, ha scritto intensi reportage da Gerusalemme, Gaza, Ramallah, Kabul, Romania, Macedonia, Egitto. Coltivava la passione per il Medio Oriente, l’ambientalismo, gli animali. Sognava un giornalismo libero dalla faziosità e dalla ideologia. Ha promosso la prima rubrica interamente animalista mai apparsa su un quotidiano nazionale, Liberazione animale. L’anno successivo la sua scomparsa Laura ha dato vita, assieme ad altri giornalisti e fotografi, al sito Reportage Italia, ricco di approfondimenti scritti e fotografici, poi diventato il libro Stato d’Italia, che ha raccolto i lavori migliori. “Tante soddisfazioni, ma pochi i soldi, bisogna considerare anche questo aspetto nel giornalismo, ma secondo me vale assolutamente la pena provarci”.

“Il reportage non è l’inchiesta, molti li confondono”. Il primo può essere definito come un resoconto che documenta – forse il vero “artigianato” giornalistico – il secondo è un’indagine minuziosa. I primi reporter della storia possono essere considerati Erodoto o Marco Polo e molti scrittori, come Hemingway, si cimentarono in questa sorta di rapporto letterario che descrive eventi, luoghi o situazioni del mondo. Il reportage di guerra nacque nel 1854, quando il quotidiano inglese Times inviò il proprio corrispondente William Russel per seguire la guerra di Crimea tra la Russia e una coalizione guidata dalla Gran Bretagna. Dal latino inquirere, letteralmente cercare dentro, nell’inchiesta la notizia non è il fatto, ma ciò che sta dietro, per questo l’inchiesta per eccellenza è considerata quella giudiziaria e il giornalismo d’inchiesta definito investigativo. Una delle più famose è stata quella sul caso Watergate condotta dal 1972 da Bob Woodward e Carl Bernstein, due cronisti del quotidiano Washington Post, che determinò nel 1974 le dimissioni del presidente americano Richard Nixon.

Nel 2010 vinse il premio Bonfanti Gabriele Del Grande di Fortress Europe, nel 2011, nella categoria Professionisti, Raffaella Cosentino, con un reportage sugli Indiani di Locri uscito sul mensile siciliano S – il magazine che guarda dentro la cronaca. “Proprio l’altro giorno su Repubblica Inchieste ha pubblicato un’indagine condotta sui Cie, le galere fuorilegge“.

Gabriele Del Grande

“Il reportage è pochissimo praticato perché servono tanti mezzi, non si può fare stando seduti a casa. Per questo abbiamo scelto un premio in denaro: ora Raffaella ha intenzione di andare a Lampedusa a fare inchiesta” e sicuramente l’impresa non è a costo zero. “Mi piace pensare che nel nostro piccolo la stiamo aiutando”. L’altra ragazza vincitrice nel 2011 della sezione Allievi, Alessia Cerantola, con un reportage inedito dalla Corea, su come i giovani percepiscono la divisione del paese, “era riuscita ad andare in Giappone per documentare il dopo Tsunami e la tragedia nucleare, ma purtroppo, una volta concluso il lavoro, non è riuscita a continuare. Trovare continuità è un altro grande scoglio del giornalismo, l’assunzione è difficile”.

“Un segreto è andare oltre le notizie che danno tutti. La Cosentino per esempio si sta specializzando in immigrazione, è un’esperta dei Centri di Identificazione ed Espulsione. È importante trovare una nicchia nel macro-genere, che so, le scuole medie nell’educazione… in questo modo puoi diventare un punto di riferimento. Ma nel frattempo – può sembrare una contraddizione – è necessario essere flessibili, pronti ad affrontare qualsiasi argomento. Soprattutto in Italia, perché all’estero il report è più valorizzato”.

Il problema della velocità. “Nei quotidiani tutto dev’essere veloce, ormai sei inviato solo quando ci sono grandi eventi, non succede mai con notizie di secondo piano. In questi giorni troverete tanti reportage sul terremoto o sull’euro. Pochi giornali, soprattutto i settimanali, si occupano di racconti particolari, racconti che non c’entrano nulla con l’agenda delle notizie. Magari su La Stampa puoi scoprire che sempre più famiglie per resistere alla crisi si fanno l’orto in balcone…” o sul National Geographic che in India esistono carceri aperte, in Albania permane il codice consuetudinario della vendetta e in Tennessee è stata reintrodotta la pubblica (ver)gogna… “sono notizie che non cambiano la vita, ma senza reporter nel mondo non le conoscereste mai”.

Alice Rinaldi
(17 giugno 2012)