Uno dei più importanti indicatori del livello di integrazione è la partecipazione politica degli immigrati e “l’Italia, in ambito europeo, si trova in una posizione intermedia, ma ancora distante dagli standard dai paesi del nord del continente”, spiega Barbara Fridel dell’Oim –Organizzazione internazionale per le migrazioni – Italia, moderatrice della sessione “Scenari di integrazione, partecipazione e reintegrazione socio-economica nei paesi d’origine” nell’ambito del seminario “Percorsi di integrazione della comunità latinoamericana in Italia” svoltosi nella giornata del 9 novembre presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. “I cittadini non Ue sono candidabili in 13 stati e hanno il diritto di voto comunale in 19, regionale in 7 e nazionale solo in Portogallo e Gran Bretagna”.
L’inserimento in chiave politica “Quando si parla di intercultura vengono in mente concetti astratti, ma sono le persone ad essere portatrici delle caratteristiche di un continente”, l’idea di Madisson Godoy, consigliere aggiunto del comune di Roma. Le comunità sudamericane sono tra le maggiormente inserite nel contesto italiano, per le affinità linguistiche, culturali e religiose, ma si avverte la “necessità di una rappresentanza politica. Le decisioni per il futuro vengono prese negli spazi legislativi, a partire dalle circoscrizioni”. Da questo punto di vista manca una “pianificazione, un modello italiano alla convivenza, ci sono solo misure emergenziali”. Si trovano anche modelli virtuosi, “ma solo a livello locale, poi non vengono messi a rete, strutturati”. Il comune di Roma è stato tra i più lungimiranti, nel 2004, ad istituire la figura dei consiglieri aggiunti in rappresentanza agli stranieri, “ma ora il ruolo è superato dalla realtà. Serve il salto di qualità, cioè il diritto al voto. La vera integrazione avrebbe un’eco positiva per lo sviluppo del paese, ma serve la volontà istituzionale per assumersi responsabilità concrete”.
Femminilizzazione del fenomeno migratorio Dati Istat del 2011, presentati da Veronica Riniolo, ricercatrice della fondazione Ismu – Iniziative e studi sulla multietnicità – rivelano che su circa 355 mila latinoamericani presenti sul nostro territorio, 228 mila sono donne, il 64% del totale. A livello assoluto la maggioranza proviene da Perù, Ecuador e Brasile, rispettivamente 62, 50 e 33 mila, mentre la più alta percentuale in rosa è cubana, al 76%. I due terzi hanno un’età compresa tra 25 e 29 anni, per le over 55 si arriva addirittura ai tre quarti, indice di una tendenza alla stabilizzazione. Dati Perla relativi al 2009 invece parlano di un 60% di nubili a fronte di un 52% delle altre immigrate e di un 38% di sposate contro il 48% di media. Il 13% è proprietaria di un alloggio, decisamente al di sopra del 10% generale tra le straniere ed anche l’istruzione risulta migliore, con una scolarizzazione di 11,65 anni di media. Per quanto riguarda gli impieghi, il settore servizi occupa il 60%, il 14,1% si trova nel turistico alberghiero e l’1,8% nell’amministrazione.
I disagi del ricongiungimento In un panorama complesso come quello dei ricongiungimenti familiari, genitori e figli si trovano ad affrontare diversi disagi e necessità. “I primi hanno senso di responsabilità ma anche un peso dovuto al senso di colpa nei confronti di chi è stato lasciato nel paese d’origine. A livello lavorativo, specie per i domestici, il problema è sui diritti, si trovano in una situazione di dipendenza, isolamento e si tende a creare una rete ghettizzata di relazioni sociali”, inizia ad illustrare la delicata tematica Cristiano Colombi, presidente dell’associazione Sal – Solidarietà con l’America Latina. “I figli accusano invece una diversità culturale. La lontananza con la famiglia crea fatalismo, mentre trovarsi in un posto non scelto porta alla perdita della passione degli obiettivi”. Il lavoro dell’associazione si basa proprio su un recupero della consapevolezza e dell’autostima, per riscattare le qualità umane e lavorative, con centri di orientamento ed ascolto, luoghi di aggregazione e di mutua assistenza, laboratori tematici e continui contatti con la comunità.
Il reinserimento nei paesi d’origine Poco studiato è il fenomeno del ritorno dei migranti al paese d’origine. Può essere forzato, come per i casi di irregolarità, o volontario, dove si può a sua volta distinguere tra autonomo ed assistito. “È difficile tanto quanto l’integrazione all’estero, si rientra dopo anni e servono un reinserimento socio-economico e l’accettazione della famiglia”, racconta Giulia Falzoi, di Oim Italia. “Il nostro paese ha sempre avuto sensibilità in quest’ambito, cercando di destinare risorse per sostenere chi decide di tornare in patria”, specie per i casi più vulnerabili come le vittime della tratta o gli sfruttati e le persone malate. Da qualche anno le contro-migrazioni sono in ascesa, sia per effetto della crisi che per la leggera ripresa del continente latinoamericano. In quattro regioni del nord Italia è attivo “il programma di supporto Remploy, in collaborazione con le istituzioni ed in particolare il ministero degli Interni. Prevede un sussidio in denaro, fino a 3000 euro, e un sostegno tramite servizi, come consulenza tecnica, logistica, aiuti nella documentazione”. Oltre il 50% opta per l’apertura di un esercizio, soprattutto abbigliamento e ristorazione, una fetta importante investe questo denaro per ristrutturare o affittare una casa, minori risultano le spese nell’assistenza medica. “Il progetto è monitorato in maniera costante”, prosegue Rosario Rostaing, dell’Oim Perù, “ed il piano favorisce un ingresso sostenibile del rientrante, aumentando le capacità di gestione del reinserimento, con benefici anche per la comunità”.
Gabriele Santoro
(10 ottobre 2012)