Ricerca e politica, nuovo orizzonte per l’immigrazione

Laura Zanfrini dell’Ismu

L’integrazione avviene nei territori, “ma è la politica nazionale che deve dare un indirizzo in una prospettiva interculturale nel rispetto del vincolo dei valori costituzionali”, così Giorgio Alessandrini, presidente delegato di Onc Cnel, introduce la mattinata di discussione nella sede del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro del 29 novembre, improntata sul tema “come la ricerca può contribuire all’elaborazione di politiche pubbliche più efficaci”. L’elemento critico è da troppi anni, per Nicola Sartor, dell’Università degli studi di Verona, proprio la “scarsa attenzione al legame tra ricerca e politica”, quest’ultima “più attenta ai mal di pancia dell’uomo comune”, tanto da “amplificare i timori anzichè metabolizzarli”.Gli ambiti strategici per misurare l’integrazione sono tre agenzie che hanno un ruolo centrale nell’inclusione ma “ora in declino”, sostiene Laura Zanfrini, responsabile del settore economia e lavoro della fondazione Ismu – Iniziative e studi sulla multietnicità. Si tratta “della grande fabbrica, fucina di collettivizzazione dei diritti, perequazione salariale e stabilità occupazionale, del welfare e della cittadinanza, come appartenenza e accesso ad opportunità”. Le indicazioni che ha dato la ricerca parlano di una trasformazione del mercato del lavoro, sempre più dequalificato, “ci si è sempre atteso dagli immigrati che accettassero mansioni e condizioni generali peggiori, mentre la partecipazione culturale è rimasta sullo sfondo”. Questa irregolarità di base si è consolidata anche nei paesi di origine, “dove si pensa solo ad arrivare, che tanto in qualche modo ci si regolarizza”. Per quanto riguarda le seconde generazioni, si assiste ad un “approccio europeo schizofrenico , che garantisce solo impieghi inferiori ma pretende di affermare la parità dei diritti “. La sfida per il futuro diventa “valorizzare il potenziale di ognuno per competenze specifiche”. Sempre più cruciale l’esigenza di transnazionalizzare le politiche sociali, “dalla previdenza ai ricongiungimenti familiari”, così come “investire nell’educazione alla cittadinanza”.

Laura Ronchetti del Cnr

La struttura produttiva italiana, prosegue Sartor, attrae una manodopera con determinate caratteristiche, “magari gli stessi paesi dell’Europa dell’est agli Stati Uniti forniscono fisici ed economisti”. La visione su come trattare la questione dei lavoratori stranieri può essere duplice, “o alla tedesca, detta gast arbeiter (letteralmente lavoratori ospiti)”, per cui la situazione è temporanea e si aspetta un ritorno al paese d’origine, “o si pensa di avere a che fare con potenziali cittadini”. Chiaro come a seconda della prevalenza dell’una o dell’altra si abbiano diversi modelli di integrazione. Sbagliato pensare in termini utilitaristici, considerando i contributi forniti a livello pensionistico, di welfare o demografico, per contrastare l’invecchiamento della popolazione. “Nel lungo periodo, con le seconde generazioni che hanno e avranno difficoltà ad avere un reddito pari a quello degli italiani, gli effetti andranno riducendosi”.Competenze e conflitto Stato-regioni Dalla riforma del Titolo V della Costituzione, le regioni si sono trovate ad intervenire sulle forme di convivenza, “con lo Stato, competente in materia, sempre più costretto ad impugnare le leggi regionali, anche perchè non implicavano distinzioni tra immigrati regolari ed irregolari”, riporta Laura Ronchetti, della divisione Issirfa – Istituto di studi sui sistemi regionali, federali e sulle autonomie – del Cnr. La Corte Costituzionale ha però rigettato i ricorsi in tal senso, negando la possibilità, per quanto riguarda i diritti fondamentali, di disparità di trattamenti. Ma ci sono state contestazioni per disposizioni al contrario troppo restrittive per l’accesso a benefici e servizi, soprattutto legati alla residenza. “Molte leggi richiedevano un’anzianità di residenza sul territorio, discriminatoria anche per molti italiani, con l’iscrizione anagrafica terreno di battaglie per ridurre l’inclusione”. Bisognerebbe quindi “identificare forme alternative per l’integrazione sul territorio”.

Maria Cecilia Guerra, sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Un nuovo impulso per le politiche pubbliche La necessità è sempre la stessa, “superare il concetto emergenziale dell’immigrazione, legato al consenso più che a scelte utili”, l’opinione di Mario Morcone, capo di Gabinetto del ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione. Pur riconoscendo che “il ministero avrebbe potuto fare di più”, Morcone rivendica comunque l’eliminazione dell’imposta sulle rimesse, stimate in 7,4 miliardi di euro nell’ultimo anno, con un incremento del 12% rispetto al precedente, e l’ultima sanatoria, che ha portato alla regolarizzazione di circa 135 mila lavoratori irregolari, nonostante “l’ostilità di tutti, media compresi, che hanno parlato di flop ancora prima che iniziasse la procedura”. Un altro obiettivo è “la stabilizzazione degli occupati”, aggiunge Maria Cecilia Guerra, sottosegretario al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, “compromessa in questo periodo di crisi”. Va visto in questo senso il prolungamento del permesso di soggiorno con la compresenza di ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione. “Stiamo anche favorendo l’imprenditorialità con diversi progetti, mettendo a frutto le relazioni con i paesi d’origine”. La comunicazione resta fondamentale per la conoscenza e la comprensione, “bisogna scardinare gli stereotipi”. Ma la causa prima della mancata inclusione è l’assenza dei diritti, “bisogna ribaltare la concezione per cui solo una volta raggiunta l’integrazione si procede all’approvazione di norme. Non ci si rende conto che sono proprio le differenze ad essere la barriera più grande”.

Gabriele Santoro(29 novembre 2012)