Diritti alla ribalta a Roma: testimonianze, musica e confronti

La sala Monsignor Luigi Di Liegro di Palazzo Valentini in Via IV Novembre 119/A il 10 dicembre 2012 è gremita per conferenza “I diritti alla ribalta. Testimonianze e prospettive in una società interculturale” in occasione della Giornata Internazionale dei diritti umani. Nel corso della mattinata ci sono stati numerosi interventi di giornalisti, imprenditori, docenti, badanti, e soprattutto mediatori culturali. Anche se “il grande limite di questa professione nell’Italia d’oggi rimane la mancanza di un riconoscimento formale, il che ci obbliga a lavorare senza garanzie né tutele” sottolinea Carlo Palanti, mediatore culturale brasiliano.

Si è accolti da un’introduzione musicale di Roland Ricaurte e Alessandro Taborri i quali suonano attorniati dai bambini del Centro didattico interculturale Celio Azzurro di Roma. Ascoltano trepidanti perché dopo tocca a loro: ed eccoli che, muniti di cartelli colorati sfilano davanti al pubblico intervenuto. Hanno disegnato bambini di tutti le etnie, guardandosi l’un l’altro e rispecchiando sul cartoncino quella diversità che per lore non è tale “Sono del Ghana, sono in Italia e sono della Roma” è solo una delle tante variopinte scritte. Si mettono in posa davanti agli obiettivi fotografici della sala, tenendosi stretti saldamente i cartelli. È solo un attimo. E poi vanno via. Il centro didattico da più di vent’anni offre una normale vita scolastica a coloro che sono arrivati da poco a Roma. La struttura vuole essere un luogo dove bambini e genitori possano trovare un sostegno, un aiuto pratico e affettivo per affrontare le difficoltà di una quotidianità a volte difficile.

Accompagnati dalla kora, strumento musicale che unisce l’arpa e la chitarra, del griot senegalese Pape Kanoute gli interventi proseguono. Marco De Giorgi, direttore generale UNAR che si è occupata d’organizzare la giornata,  ribadisce come “l’Ufficio voglia essere un ingranaggio importante nelle relazioni tra i popoli” tuttavia, aggiunge, “siamo favorevoli al dialogo interculturale promuovendo le diversità insite in  ciascuno, perché una società diversificata è per noi un modello di società sostenibile”. Come sottolinea anche la poetessa e scrittrice eritrea Ribka Shibatu “la diversità è una ricchezza, salvare paesi a rischio come l’Eritrea vuol dire salvare la biodiversità del mondo”.

Il nigeriano Steve Emejuru rileva “in Italia persiste il problema dell’immigrazione perché è sempre stato trattato come un’emergenza e mai realmente affrontato”. Il lavoro di mediatore culturale lo ha portato, durante questi 21 anni in Italia, ad impegnarsi nel creare un ponte tra la cultura africana e quella italiana. La sua professione lo ha condotto spesso nelle scuole per cercare d’informare i giovani e farli crescere con consapevolezza in un mondo multiculturale. Tuttavia non sono mancate le difficoltà “una volta sono andato in una scuola ed avevo bisogno del bagno. Ma non potevo andare né in quello dei bambini né in quello degli insegnanti. Non mi è stato spiegato il motivo, vedevo solo la bidella affannarsi per liberarmi il bagno dei diversamente abili, ma mi sono rifiutato di utilizzarlo”.

I vuoti legislativi che si verificano in Italia lasciano in sospeso persone per anni. Com’è accaduto a Oles Horodetskyy, medico badante ucraino. Sta aspettando  il riconoscimento del suo titolo di studio ormai da nove anni, tempo durante il quale ha trovato un lavoro con una persona anziana, malata “e molto nobile” sottolinea lui stesso. Il lavoro di badante è un lavoro particolare “sei un estraneo di fatto ma vivi con la persona della quale ti occupi più della sua stessa famiglia”. Rileva inoltre come questa professione sia fonte di forte stress e non siano rari i casi di maltrattamenti psicologici. Da qui l’esigenza di un controllo maggiore affinché sia garantita sempre la dignità della persona, del lavoratore e del suo assistito “tutti i tipi di lavoro meritano il rispetto al di là del loro prestigio sociale, perché, come dice un vecchio proverbio: il lavoro nobilita l’anima.”

“La ragione che spinge gli immigrati a rivolgersi al sindacato una volta in Italia è il desiderio di legalità per sé e per la propria famiglia”, sottolinea Pilar Saravia, operatrice sindacale peruviana. L’esigenza d’integrazione è reale, come ribadisce Augusto Venanzetti, della Rete scuolemigranti per l’insegnamento dell’italiano a Roma, tuttavia “con i provvedimenti governativi del 2010 e del 2011 la domanda di corsi d’italiano è in continua crescita ma è il volontariato che copre il 60% di tutto”. Una situazione che necessita un intervento perchè non può rimanere immutata.

Ribadisce una giovane dottoranda ungherese in sociologia, Zsuzsanna Pasztor, “gli interessi economici tendono spesso ad essere gli unici obiettivi da perseguire, e ci si dimentica dell’umanità stessa che dovrebbero rappresentare. Ma abbiamo tutti diritto al futuro e pertanto, andare oltre le evidenti disfunzioni della nostra società è dovere di ciascuno”.

Piera Francesca Mastantuono

(11 dicembre 2012)