Afghanistan after 2014. What’s next?

Un militare americano in Afghanistan
Un militare americano in Afghanistan
New York, 11 settembre 2001, una data che difficilmente verrà dimenticata. Alle ore 10 un gigantesco boato investe l’isola di Manhattan  e la torre sud del World Trade Center crolla in un mare di detriti, seguita circa mezz’ora dopo dalla gemella. Dopo poco più di un mese Bush dichiara guerra ad Al Quaeda e al leader Osama Bin Laden, il mandante dell’attentato. Gli Stati uniti invadono l’Afghanistan, paese dove si pensa possa nascondersi il “nemico pubblico numero uno”, fanno cadere in pochi mesi il regime talebano(nato nel 1996) e danno il potere in mano a Hamid Karzai.Roma 16 ottobre 2013, un gruppo di studenti della facoltà di scienze politiche di Roma3 da vita al convegno Afghanistan after 2014. What’s next?, un incontro dove si analizza quali siano le prospettive a dodici anni dall’inizio dell’invasione. Le cose sono cambiate: Bin Laden è morto e le forze militari sono in rapida dismissione, quindi quale futuro aspetta gli oltre 30 milioni di afghani? Il quadro riportato negli interventi evidenzia alcune tematiche legate a due avvenimenti che muteranno completamente le dinamiche di potere in Afghanistan: le elezioni, che si terranno il prossimo aprile, e il passaggio di gestione della sicurezza nazionale dalle mani statunitensi a quelle dell’esercito locale.A sottolineare, in particolare, quest’ultimo aspetto è stata Rosa Coniglio, consigliere diplomatico di Roma Capitale: “Nel 2014 avverrà quella che viene comunemente definita la “transizione afghana”. Questo significa che ci saranno altre missioni dell’ONU sul territorio, ma avranno principalmente l’obiettivo di supportare la nuova amministrazione. Da questo punto di vista è stato cruciale l’accordo raggiunto proprio pochi giorni fa tra il segretario di stato USA John Kerry e il primo ministro Karzai. Gli Stati Uniti si sono impegnati a sostenere il nuovo governo senza ulteriori ostilità, e a ritirare le truppe presenti sul territorio. L’altro evento fondamentale – prosegue la Coniglio – è l’elezione del nuovo presidente. Karzai ha concluso entrambi i mandati quinquennali, dunque, come vuole la costituzione, non potrà ripresentarsi. A questo punto bisognerà vedere chi salirà al potere e come gestirà i mesi successivi al suo incarico”. I favoriti sembrano essere il fratello maggiore di Karzai, Abdul Qayum, e l’attuale ministro degli esteri Zalmai Rassoul.
I relatori del convegno
I relatori del convegno
Quello che emerge, anche dagli altri interventi del convegno, è che, sebbene in Afghanistan ci sia una forte volontà cambiamento e di raggiungere una democrazia più diretta e aperta, i problemi per questo paese sono ancora molti dalla difesa dei diritti civili, al traffico internazionale di oppio, all’estremismo religioso che difficilmente vedranno la loro risoluzione nel giro di pochi anni. “Quello che gli esperti pensano – spiega Lucio Martino del Cemiss (centro militare di studi strategici) – è che l’Afghanistan non sia più al centro della politica estera americana e questo è uno dei principali motivi per cui la transizione sarà possibile. Purtroppo però le problematiche di questo paese vanno ben oltre l’invasione degli USA nel 2001. Storicamente l’Afghanistan è un paese in conflitto da oltre 30 anni, nel quale  si sono succeduti molti regimi diversi: quello legato all’URSS nel 1979 durato 10 anni e terminato con la presa di potere da parte dei Mujaeddin sostenuti dagli Stati Uniti, quello talebano di minore durata(dal 1996 al 2001 ndr) ma radicalmente diverso rispetto al precedente, fino ad arrivare al decennio di Karzai. Il risultato di tutta questa confusione politica – prosegue Martino – è stata la nascita di un paese con confini territoriali molto sottili, ricco di contraddizioni e di identità diverse, difficilmente conciliabili tra loro.Una condizione, quella analizzata dai relatori che lascia molte incognite sul futuro Afghano. Il rischio, è la creazione di un “mexsomali state” come lo definiscono gli americani, ovvero uno stato in continua guerra civile e  controllato dai trafficanti di droga. A conclusione dell’incontro è intervenuta anche Tajmina Janjua, ambasciatrice pakistana che ha concluso il suo intervento esprimendo un desiderio e un augurio per il proprio paese e per l’Afghanistan: ” Storicamente questa nazione è ad un bivio. Sarà fondamentale una riconciliazione tra le varie parti politiche e spero che le prossime elezioni si svolgano in totale tranquillità, nel segno della legalità e della democrazia perchè il popolo afghano ha diritto di decidere il proprio futuro. I nostri paesi sono molto legati, come fratelli, e lavoriamo ogni giorno per stringere nuovi accordi economici e politici, perchè il nostro futuro è vincolato al loro. In momenti come questi l’unico messaggio che riesco a inviare alla comunità internazionale è di stare vicina all’Afghanistan perchè in questi casi c’è bisogno di amici e non solo di buone intenzioni. Noi ci saremo”. 

Adriano Di Blasi

( 23 ottobre 2013)

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