
“Quando arrivi di fronte alla chiesa, non imboccare via Panama ma, guardando la chiesa di San Roberto Bellarmino, vai a destra della facciata, imbocca il vialetto, alla fine c’è una porta verde, e lì sei arrivata!” Così Ornella Capasso, da sei anni docente e coordinatrice della scuola d’italiano del centro Welcome, spiega con gentilezza come arrivare alla sede dove si svolgono i corsi d’italiano per stranieri del centro.
Ed è qui che da 12 anni, dal lunedì al giovedì, dalle 16 alle 18, ed il martedì e il giovedì anche dalle 18 alle 20, la porta verde si apre su una stanza, con una segreteria ricavata in fondo, e tre tavoli, divisi simbolicamente da librerie stracolme. Ciascuna scrivania ospita alcuni dei 12 insegnanti della scuola, ciascuno con la sua classe, eterogenea per provenienza, età, lavoro e livello, dall’analfabetizzazione al B1. Filippine, Sri Lanka, Romania e Ucraina sono tra i paesi cui si deve la maggiore affluenza. Colf e badanti sono tra le professioni più diffuse, “anche in ragione della zona Parioli nella quale ci troviamo”. La diversità è senz’altro fonte di ricchezza e perciò necessita di una rigorosa organizzazione “purtroppo gli avvicendamenti e le assenze degli alunni sono tra i problemi maggiori cui andiamo incontro, ma li fronteggiamo. I numeri sono importanti e dal 15 settembre abbiamo avuto circa 200 iscrizioni.”
La lezione di Rosa è un livello A2 ed è dinamica ed energica, esattamente come lei. Scoperta la città dalla quale vengo apre immediatamente una cartina dell’Italia di fronte alle sue allieve, Maria Daniela e Roxanne, e chiede sibillina “dov’è il Lazio?”. Inizialmente timide le due giovani donne si orientano presto nello stivale trovando la regione e rispondendo pronte alle domande a pioggia di Rosa.
Maria Daniela, rumena, è una baby-sitter “di due bambini, di 4 mesi e due anni e 6 mesi. A volte mi si dice che io sia la vice mamma, ma che vuol dire? Secondo me non è così, io sono la tata, di mamma ce n’è una sola e non sono io”, sostiene con lucida consapevolezza. Roxanne “sono una baby-sitter e mi occupo anche della casa, è un lavoro impegnativo, ma mi piace.”
La lezione si avvicenda rapida in un incessante scambio d’informazioni anche tra le allieve. Come quando Maria spiega a Roxanne che “le ferie le hai perché, lavorando ogni mese, hai diritto anche ad un giorno di pausa e sono giorni pagati! È lo stesso per la tredicesima, è come un altro stipendio che si dà alla fine dell’anno”, e con carta e penna scrive rapida cifre e lettere per spiegare alla giovane filippina, che sorride convinta, cosa intenda con le parole.
Si apre la porta del centro e con il soffio di vento entrano anche Maria, moldava, ed Amira, araba. Infreddolite si scaldano subito parlando e dimenticando, nel mentre, qualche articolo. Subito Rosa le riporta all’ordine con bonarietà ricordando loro che “bisogna parlare lentamente e non dovete dimenticare gli articoli, sono fondamentali nella lingua italiana.”

La correzione degli esercizi è un tripudio di suggerimenti a fior di labbra per indicare la giusta risposta e mani rapide che corrono sui fogli per mostrare l’immagine giusta, alla compagna di scuola. Il loro pezzo forte sono i contrari delle parole, in particolare di quelle che riguardano la sfera semantica del lavoro “saltuario, precario, dipendente, autonomo”, d’altronde, le ragioni che le hanno portate in Italia sono le medesime: professionali, e sono ben informate in merito.
Amira, studentessa, è la più timida del gruppo, parla poco e così Rosa la incoraggia. “Sono una studentessa di scienze politiche indirizzo sviluppo e mediazione” con t dal suono liquido. Maria ha gli occhi blu notte e racconta di come anche lei si occupi di una bambina in qualche modo “solo che ha 94 anni” e sorride con affetto andando a lei con il pensiero.
Dopo due ore di una lezione densa e coinvolgente le ragazze prendono i loro quaderni, penne e matite e vanno via ringraziando Rosa. Però Maria Daniela non si accontenta del “grazie” e propone a Rosa “ma per tutto il materiale e le fotocopie che ci date, io vorrei pagare, anche lavorando per voi”, e la professoressa, sorridente, la guarda e dice “tu pensa a venire e a studiare, al resto, almeno qui, ci pensiamo noi.”
Tutto questo e molto di più è il Centro Welcome, e nella traduzione dall’inglese c’è il senso di questo angolo nel cuore chic di Roma.
Piera Francesca Mastantuono
(28 novembre 2013)
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