Afshin e il nowruz: tradizioni e speranze per il nuovo anno

haft sin
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“Le persone sono felici e assumono un altro punto di vista. In questo periodo c’è qualcosa nella gente che tutti gli altri giorni non vedi”, così Afshin descrive in poche parole lo spirito del Nowruz, il capodanno persiano che si celebra il 21 marzo. Quando è partito dall’Iran avrebbe voluto raggiungere la famiglia in Olanda, ma la convenzione di Dublino II l’ha riportato in Italia. Di mestiere avrebbe voluto continuare a fare il fisioterapista, mentre a Roma deve accontentarsi di fare, saltuariamente, l’operaio. Nonostante tutti gli imprevisti, Afshin conserva energie inesauribili e sorriso sincero, anche dopo una lunga giornata di lavoro. Sembra che nulla riesca a turbarlo, ma quando gli chiedi di parlarti del suo paese e del capodanno iraniano, il sorriso si trasforma in un’espressione di nostalgia.

“È la festa più importante per gli iraniani e si condivide con la famiglia. Ad esempio se c’è un litigio tra di noi, il Nowruz è un momento buono per riconciliarci. Solitamente i più giovani fanno visita ai parenti anziani e questi ricambiano con dei regali. Tutto l’anno non si ha mai il tempo per incontrare alcune persone, e questo periodo diventa il momento giusto”, spiega.

Nei paesi di quello che un tempo è stato l’impero persiano il conto alla rovescia per il nuovo anno è cominciato già da circa una settimana: “Ci prepariamo alla festa partendo dalla casa: facciamo grandi pulizie, mettiamo via le cose vecchie e ne compriamo di nuove. Ci sono tante attività particolari in questi giorni”.

Il nowruz si celebra da circa 3000 anni e il tempo ha consolidato le tradizioni. Un altro passo verso il nuovo anno è il mercoledì della gioia, in cui si celebra il rito dei fuochi. I ragazzi per le strade della città accendono dei falò per saltarci sopra e passare, così, dalle tenebre alla luce ripetendo la formula: il giallo a te, il rosso a me. I due colori simboleggiano rispettivamente: debolezze e forza, mancanze e prosperità.

“Un momento molto bello è quello dell’Haft Sin”, spiega Afshin. Il 21 marzo ogni casa iraniana che si rispetti imbandisce la tavola con sette oggetti accomunati dalla lettera iniziale, la s. Ci sono tutti gli ingredienti per una vita felice. La rinascita è simboleggiata dal sabzeh, un’erba che si lascia crescere in casa qualche giorno prima del Nowruz. Samanu, un budino di germogli di grano e mandorle cotte, rappresenta la trasformazione. Sib, una mela rossa, è garanzia di salute e l’amore è assicurato da senjedun, un particolare frutto secco. Mentre sir, l’aglio, è il rimedio medicinale. Somaq, una polvere di bacche usata per condire la carne, rappresenta l’aurora e il serkeh, l’aceto, simboleggia la dose di pazienza utile per affrontare le giornate più difficili.

Spesso si aggiungono anche uova, monete e ciò che rimanda al concetto di prosperità. Tutti elementi utili per guardare al futuro in modo positivo: “festeggiamo l’anno che arriva con nuove speranze di una vita migliore, di cambiamento, di possibili tentativi”. Ma le celebrazioni non finiscono il 21 marzo, il tredicesimo giorno dell’anno ci si riunisce per lunghi pranzi all’aperto. E si butta via il sabzeh, l’erba germogliata in casa, con un gesto simbolico per esorcizzare la negatività che si attribuisce al numero 13.

È la prima volta che Afshin trascorre il Nowruz lontano dall’Iran: “Ora sono qui a Roma e il significato della festa, per me, è lo stesso che ha avuto fino ad ora nel mio paese, con la differenza che sono solo e non potrò vedere i miei cari”.

Il nowruz è una festa semplice, di tradizioni e di buone speranze, come semplici sono le aspettative di Afshin per il nuovo anno: “La prima cosa per cui prego è la salute, per me e per i miei parenti, e poi un lavoro stabile e una vita gradevole con la mia famiglia”.

Rosy D’Elia

(18 marzo 2015)

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