
La mattina del 9 aprile, i laboratori di cucina della Fondazione il Faro erano in pieno fermento. Gli allievi si affrettavano ad eseguire con diligenza i propri compiti, sotto la guida sapiente dei tutor, realizzando una serie di prelibatezze che avrebbero poi gustato tutti insieme, in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi. Un misto di emozioni contrastanti erano dipinte sui loro volti, mentre erano intenti a mescolare ingredienti e a sporcarsi le mani con la farina. Da un lato la gioia per aver conquistato il tanto agognato “pezzo di carta” e la speranza di un futuro migliore, dall’altro tanta malinconia dettata dalla consapevolezza che questo sarebbe stato l’ultimo giorno in cui avrebbero lavorato gomito a gomito con i propri compagni di avventura.

A ricevere l’attestato di fine corso non sono stati solo aspiranti cuochi, pasticcieri, panettieri e pizzaioli, ma anche le altre figure professionali che vengono formate dalla Fondazione “Il Faro”, un centro di orientamento nato nel 1997 per volontà di Susanna Agnelli che ora è passato sotto la guida dei suoi figli, Lupo e Samaritana Rattazzi.
“Oltre a trasmettere ai nostri allievi competenze professionali direttamente spendibili nel mondo del lavoro, li aiutiamo anche nel difficile compito della ricerca di un’occupazione. Il nostro punto di forza è quello di avere un tutor che crea i contatti con le aziende, accompagna i ragazzi ad eventuali colloqui di lavoro e li supporta durante le prime 50 ore di tirocinio che vengono finanziate dal Faro. Solo allora lasciamo che camminino da soli con le proprie gambe” – spiega Michela Arioni, una delle insegnanti che ha condotto il corso di cucina, con specializzazione in pasticceria, rivolto a donne migranti richiedenti asilo politico.
I destinatari delle attività sono prevalentemente ragazzi stranieri che sono stati costretti a fuggire dai propri paesi d’origine, lasciandosi alle spalle gli affetti più cari.

E’ il caso dell’aspirante aiuto cuoca Lucie, originaria del Burkina Faso, che spera di trovare al più presto un lavoro in modo da permettere ai suoi due figli, di 8 e 13 anni, di raggiungerla qui in Italia.

Una storia molto simile a quella di Almoustafa, un ragazzo di 25 anni che ha frequentato il corso per pizzaioli. Nel 2011 è dovuto scappare dalla Costa d’Avorio e dopo varie peregrinazioni è giunto qui in Italia un anno e mezzo fa. Ha deciso di frequentare questo corso perché purtroppo la laurea conseguita nel suo paese di origine non gli ha permesso di entrare nel mondo del lavoro e preferisce imparare un mestiere. Ora vive in un centro di accoglienza, ma la nostalgia di casa è tanta: “Fortunatamente grazie a Facebook riesco a rimanere in contatto con i miei fratelli ed i miei amici” racconta con un velo di nostalgia.

Per molti di loro quest’esperienza ha rappresentato un momento di rinascita e l’opportunità di evadere da problematiche situazioni familiari. “Lo staff del Faro mi ha offerto un grande supporto anche dal punto di vista umano, aiutandomi a superare un momento difficile della mia vita”, dice Mihaela, una ragazza rumena di 28 anni che è stata vittima di violenza domestica da parte del marito ed ora vive in un centro di protezione del telefono rosa, assieme a suo figlio di 2 anni. La tristezza che la assale quando riaffiorano questi brutti ricordi, sembra però svanire del tutto quando inizia a parlare del bel rapporto che si è instaurato con le sue compagne del corso per parrucchiere.
Sicuramente tutti loro oggi usciranno da qui, non solo con un attestato tra le mani, ma anche con la consapevolezza di aver costruito relazioni durature su cui potranno contare.
Ambra Di Chio(13 aprile 2015)
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