Viaggio tra gli expat – seconda parte: Australia, terra delle opportunità?

Sydney, New South Wales
Sydney, New South Wales, è una delle mete predilette dagli expat italiani in Australia. Photo credit: Zingarate.com

(continua dalla prima parte: Viaggio tra gli expat – quando ad emigrare siamo noi)

Non solo Europa. Ad accogliere gli expat italiani sono – e da lungo tempo – spesso terre ben più lontane. Sono circa 15 mila i Working Holiday Visa concessi lo scorso anno dal Department of Immigration e Border Protection del governo australiano: non permessi permanenti, ma visti temporanei che garantiscono ai giovani di meno di 31 anni un ingresso nel paese, generalmente a fronte di un impiego nelle Farm agricole. Una ricetta efficace per i molti che hanno trovato così una via d’accesso all’Australia, ma anche uno strumento che, secondo un’inchiesta condotta tra i migranti italiani dall’emittente australiana Abc, sembrerebbe aver aperto la strada all’ombra scura del caporalato.

Eppure le richieste per i visti temporanei continuano ad arrivare. Per fronteggiarle, il Governo australiano ha annunciato proprio nei giorni scorsi che dal 2016 il trattamento fiscale agevolato di cui gli “ospiti temporanei” potevano usufruire al pari dei residenti, sarà revocato: per restare in Australia per più di sei mesi, i detentori di visto vacanza-lavoro dovranno versare in tasse il 32,5% del reddito. Un provvedimento nato “per tutelare i residenti”, a detta delle istituzioni, ma che per molti suona più come un chiaro invito agli stranieri a non tentare la via australiana.

Per un ragazzo abituato ai 5/8 euro l’ora, riceverne minimo 16 equivale al Paradiso“. Sintetizza così la scelta di molti Arianna, che nella so-called Terra delle Opportunità è entrata con un visto Working-Holiday. A luglio festeggerà il suo primo anno all’estero insieme al suo compagno Simone: architetto lei, geologo lui, l’Australia l’hanno sognata fin dai tempi dell’Università. Un trasferimento pianificato nei dettagli: ricerca sui forum e sui siti istituzionali per muoversi fra conti in banca e assicurazioni sanitarie, un viaggio “di esplorazione” per scegliere la meta, e soprattutto dei tempi da rispettare per raggiungere gli obiettivi. In un mese Arianna e Simone si mettono in regola, trovano casa e un impiego, entrando a far parte di quella fetta di migranti impiegati nell’hospitality: un “99% di immigrati che fanno i baristi e i camerieri perché gli australiani questi lavori non li fanno e non li vogliono fare”, chiosa Simone.

La scarsa conoscenza della lingua all’inizio non aiuta, e l’impiego nella ristorazione è quasi d’obbligo. Arianna inizia come ricevimento-runner, una cameriera che si limita a sparecchiare e lavare i piatti senza interagire con i clienti, ma poi cresce, riuscendo nel tempo a vendersi come chef: “in Australia gli italiani sono ben apprezzati sia per il loro ‘gusto’ spiccato nella moda o nella cucina sia per le qualità da lavoratori, tuttofare ed ingegnosi”, spiega.

Arianna e Simone, a Sydney dal luglio 2014
Arianna e Simone, a Sydney dal luglio 2014

Nonostante Sydney sia una delle città più ricche del paese, anche lì la crisi inizia a fare capolino, e con lei un po’ di razzismo: “si iniziano già a sentire i primi discorsi di italiani che rubano il lavoro agli australiani”, scherza Simone, che non è indifferente alle disparità di trattamento fra i Lazy Aussies, spesso beneficiari di sussidi statali, e i migranti: “mediamente un australiano per un lavoro da barista riceve una paga oraria di 25-30 dollari, uno straniero 16”. E non mancano i lati oscuri: “anche qui ci sono lavori in nero, assenze di pause dopo lunghi turni, mancanza di sicurezza e di igiene. Sulle bacheche online girano spesso annunci ai limiti del decente”, racconta Arianna. E aggiunge, con un po’ di malinconia: “purtroppo, parecchi provengono da italiani alla ricerca di altri italiani”.

“C’è molta mobilità sul lavoro, si può cambiare facilmente settore” spiega Simone, che oggi a Sydney lavora come geologo di cantiere. “Purtroppo al tempo stesso le figure professionali sono molto limitate e poco qualificate. Un manager non è un tecnico che per particolari capacità nel settore ha assunto la qualifica di dirigente, ma una persona che ha una laurea in management, anche se di tecnico non sa proprio nulla. E lavorarci è frustrante”. Che gli australiani temano la concorrenza degli stranieri? Certamente dopo il primo anno di visto le strade per restare iniziano a farsi tortuose: “il visto successivo al Working Holiday è costosissimo, e spesso per poterlo pagare è necessario fare doppi o tripli lavori” spiega Simone, “spesso con l’obbligo di frequentare scuole nate appositamente per rilasciare agli stranieri certificazioni di poco valore”.

Certo, una volta superate le barriere dei visti, gli stipendi molto alti valgono la lontananza dall’Italia, anche se le differenze culturali restano: “gli australiani sono amanti della natura, abbastanza rispettosi delle leggi, ma anche piuttosto maleducati e con un certo gusto dell’eccesso, dal bere troppo al fare chiasso a ogni ora del giorno e della notte”, spiega Simone. “Noi occidentali forse abbiamo una visione utopistica dell’Australia, che non corrisponde esattamente a verità. Ma una volta capito come funzionano le cose, la qualità della vita è alta. Il welfare esiste, e la conformazione delle città garantisce punti di ‘ricarica verde’, piste ciclabili e pedonali”, spiegano. Ma, conclude Simone, “ci aspettavamo molto di più, e probabilmente una volta finito il mio cantiere andremo via di qui”.

Nel frattempo Arianna dalle cucine dei ristoranti è passata ad uno studio di architettura “tampinato di e-mail e visite per due mesi”. Nonostante le difficoltà, “l’italiano è determinato: chi la dura la vince, e alla fine ce l’ho fatta”.

E poco importa se si tornerà: per ora sul curriculum c’è un’importante riga in più.

(continua…)

Veronica Adriani

(20 maggio 2015)