“Spero che Pelé non abbia mai saputo come mi chiamavano in Italia”. Angelo Benicto Sormani, oltre 370 partite nella massima serie calcistica italiana, coppe internazionali con la maglia del Milan e sette presenze nella nazionale italiana, venne ribattezzato al suo arrivo in Italia il Pelé Bianco. Erano i primi anni 60 e Angelo, che oggi insegna calcio ai ragazzi, arrivava appena ventenne dal Brasile, dove aveva giocato proprio con il dio del Calcio, Pelé. Non vede l’ora di tifare per il Brasile, che ritorna al Mundialido, iniziato a Roma il 29 maggio, di cui incarna il testimonial perfetto. Straniero che, grazie al calcio, ha messo radici in Italia.”Grazie al calcio ho imparato ad adattarmi alle culture e ai posti in cui vivevo”. A 18 anni Angelo gioca col Santos, la gloriosa squadra brasiliana di Pelè, con cui gira il mondo. “Cambiare continuamente squadra e città, una volta in Italia, mi ha insegnato che, a Napoli dovevo essere napoletano, a Roma romano, a Milano milanese, senza perdere mai le mie radici”. A 21 anni il giro dell’Europa nelle fila del Santos gli frutta una proposta in Italia, con il Mantova.Lascia Pelé e quelle serate nelle camere a scherzare con quello che nel 1958 aveva vinto già il più alto trofeo del pianeta calcistico: la coppa del mondo con la maglia del Brasile. Addio a Pelé e arrivo in una nazione che era già un po’ la sua terra. “Per 3/4 sono veneto, per 1/4 toscano”. Io suoi nonni 100 anni prima erano partiti dall’Italia per emigrare nella terra carioca. Solo in virtù delle origini italiane poté indossare la maglia azzurra e meritarsi l’appellativo di Pelè Bianco, che negli anni ‘80 venne dato anche ad un altro italiano, Zico, altro mago del calcio.Una curiosità storica “solo perché oriundo di ceppo maschile potei accedere alla nazionale” dice Angelo. Solo perché il nonno era italiano, Angelo indossò la maglia azzurra che lo portò anche ai mondiali di calcio del 1962 in Cile. Se sua nonna emigrata si fosse sposata con un brasiliano tutto ciò non sarebbe stato possibile. “Erano i tempi in cui le donne non avevano pari diritti e solo gli uomini trasmettevano la cittadinanza”. Erano i tempi in cui in squadra potevano giocare solo due stranieri. Oggi non è più così. Le squadre di calcio italiane sono ricche di stranieri. Angelo si è trovato così bene che, finita la carriera da calciatore, ha scelto di restare in Italia. “Nel 1976 quando ho smesso di giocare, il primo dei miei quattro figli era adolescente, 14 anni. Con mia moglie abbiamo deciso di dargli l’opportunità di studiare in Italia, come tanti brasiliani”. E così Angelo e sua moglie – cui era legato dall’età di 15 anni in Brasile, quando ancora era raccattapalle e si faceva notare dal Santos – decisero di restare.Oggi insegna ai ragazzini del vivaio della Roma, all’Accademia della Roma e alla Totti Soccer School. “Insegno calcio, anzi – si corregge – il calcio non si insegna. Provo ad accorciare i tempi di apprendimento”. Conosce bene Eugenio Marchina e il Mundialido “Si gioca e come sempre c’è chi non vuole perdere e si arrabbia un po’, ma ci sta. Questa manifestazione è un’ottima iniziativa, perché ci si ritrova insieme, ci si conosce”. Ora però non aspetta che vedere il suo Brasile che è approdato agli ottavi di finale. Passato il primo turno incontrerà la fortissima Romania. Gli chiedo perché spera che Pelè non abbia mai saputo come lo chiamavano qui in Italia “non posso essere nemmeno accostato a lui. Era il migliore”. Provo a fare la domanda che tutti farebbero, tutti coloro che sin da piccoli, dai primi calci, si fanno ” Chi è più forte tra Maradona e Pelé?”. Sono decenni che il calcio si divide e lui, che ha guidato anche un allenamento di Maradona, svia parlando di telecamere “con Pelé ce n’era una a riprendere le partite, con Maradona tre”. Non vado oltre perché non mi da subito una risposta netta, come mi aspettavo. Magari questo, il suo tentennamento, il vero Pelè avrebbe piacere di non saperlo.
Fabio Bellumore(18 giugno 2015)
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