Dopo Sabbia: quando il teatro fa tornare la fiducia in sé stessi

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Sportare la sedia vuol dire spostare tutta un´esistenza. Photo credit: Francesco Galli

Venerdì pomeriggio il 12 giugno  il centro di Roma è pieno di gente. A Largo Argentina, a pochi passi da piazza Venezia, c’è chi fotografa i monumenti storici, c’è chi passa velocemente tra la folla per tornare al lavoro, o per andare a pagare la bolletta. Nello stesso momento, dietro i muri del Teatro Argentina sul palco storico della città, stanno andando avanti le ultime prove dello spettacolo Sabbia. „Riproviamo un’altra volta,“ risuona così la voce del regista Riccardo Vannuccini che gesticola animatamente per aggiustare le ultime imperfezzioni. Sul palco davanti a lui venticinque ragazzi africani, i richiedenti asilo, ospiti del CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Castelnuovo di Porto che con lo spettacolo chiudono il laboratorio teatrale di cui negli ultimi dieci mesi facevano parte.

Tra loro anche Lamin, un ventisettenne di Gambia arrivato in Sicilia nel dicembre dell’anno scorso. “Ho attraversato il mare, ero solo e ho rischiato la vita per venire qui,” dice. Inizialmente non era interessato a fare teatro, finché uno dei suoi amici non gli abbia spiegato come funzionasse: “Così abbiamo deciso di partecipare per vedere cosa succede e alla fine anch’io sono diventato uno di quelli che convincevano altri ragazzi a venire alle prove.” Oggi per Lamin il teatro rappresenta l’importanza della vita umana. “Ci insegna molte cose, ad esempio sullo straniero, su come le persone dovrebbero approcciare gli stranieri e gestire la relazione con lo straniero,” spiega sottolineando anche l’importanza di conoscersi a vicenda – sia italiani che migranti.

I giovani richiedenti asilo sul palco del teatro Argentina. Photo credit: Francesco Galli.
I giovani richiedenti asilo sul palco del Teatro Argentina. Photo credit: Francesco Galli.

Dopo mesi di prove, vari esercizi e improvvisazioni, il giovane pensa di essere cambiato. “È stata una buona lezione per me,” ammette, “il teatro mi ha aiutato a capire il sistema.” Grazie al laboratorio i ragazzi hanno potuto riempire il tempo libero passato all’interno del centro d’accoglienza. Nel suo paese Lamin si è laureato nelle Arti e lavorava in un’azienda che produceva i gelati, oggi si concentra sullo studio d’italiano e prossimamente dovrá prepararsi all’audizione davanti alla Commissione territoriale che deciderá sulla sua richiesta di asilo. Dopo più di sei mesi in Italia sta ancora aspettando la data precisa, già oggi, però, sa di esserne meno nervoso: “dopo essere andato in scena davanti a centinaia di persone, non sarò più così spaventato di esprimere e raccontare la mia storia.”

Petra Barteková(17 giugno 2015)

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