Kakuho Aoe: la cucina zen che fa bene all’anima

la cucina del monaco buddista

“Un fiore rosso non penserà mai di voler risplendere della stessa luce di un fiore blu. Solo gli uomini cercano di risplendere della luce di altri uomini”.

Sembra una frase ad effetto delle pubblicità, e invece è la spiegazione di una ricetta. La terrina composta da dieci verdure che Kakuho Aoe mostra il 25 gennaio nella sala gremita dell’Istituto Giapponese di Roma rispetta alla perfezione l’assunto per cui ogni elemento, nell’alimentazione, ha la sua prerogativa, e come tale deve essere trattato. Un tipo di cottura per la zucchina, una per la pannocchia, una per il peperone giallo, un’altra per il rosso, e così via. Filosofia? Quasi. Cucina zen.

THE STORY “OF MONK” di Yasuhiro Tamura.

Economista, monaco “per caso”, cuoco, papà. Kakuho Aoe ha tante anime in un solo nome, e tutte riportate in un libro: La cucina del monaco buddista, per la cui presentazione sta girando l’Europa proprio in questi giorni. Una cucina semplice ma ricca, che si basa su alcuni principi di base e sul consumo di determinati alimenti: qualche esempio? Sì alle verdure, ma non a cipolla, porro, erba cipollina e aglio. Si al riso, ma no a carne e pesce. No, in sostanza, agli alimenti che implicano violenza verso altri esseri o che risultano violenti nel gusto. La sua cucina è “la cucina dell’anima”.

In ogni piatto non può mancare il dashi, il brodo che fa da base a molte preparazioni, realizzato con alga konbu o funghi shiitake. E poi, naturalmente, la salsa di soia o il mirin, estratto invece dal riso. Grazie al libro si può scoprire che la pannocchia deve essere cotta intera, fino a bruciarne l’esterno, e che solo allora il mais può essere estratto. O, ancora, che l’olio cottura esalta al meglio il gusto della melanzana. Ma attenzione: se è vero che “la presentazione di un piatto non deve essere né eccessiva né povera” e che la tavola deve trasmettere gioia a chi cucina e ai suoi invitati, non bisogna mai dimenticare che il cibo che si posa sulla tavola di Koku è soprattutto veicolo di calma interiore. Preparare, degustare, assaporare: tutto porta ad una nuova percezione del mondo e di noi stessi: il tempo che scorre, il risveglio del corpo, il piacere dell’accoglienza.

Il vero spirito della cucina giapponese, infatti, non risiede esclusivamente nella scelta degli alimenti, ma nel trattamento che viene loro riservato. Delicatezza nella cottura, certo, ma innanzi tutto rispetto per il cibo. “Quando si mangia del riso è importante pensare a quanta fatica è costato produrne anche solo un chicco“, spiega Kakuho Aoe alla platea romana, enumerando le regole di un mangiare consapevole che – zen o no – sarebbe buona abitudine tenere sempre a mente a tavola.

Cucinare con cura, senza preoccuparsi dello scorrere del tempo. Evitare gli sprechi. Cucinare per qualcuno, provando gioia nell’accogliere gli ospiti. Eseguire le lavorazioni a mano e rimediare agli errori fatti cercando di imparare da essi. Rendere omaggio per il cibo, sempre. Sono solo alcuni dei principi della cucina zen, massimamente esaltati nelle cene al buio – Kurayami Gohan – che Kakuho Aoe spesso organizza per esercitare corpo, spirito e mente ad una nuova percezione del gusto.

Un gusto che, ben allenato, può influire positivamente su tutti gli altri sensi.

Veronica Adriani

(4 febbraio 2016)

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