Chioma folta e riccia, pelle nera, due occhi che brillano, che sanno ridere e arrabbiarsi, è Sara, 29 anni, studentessa di giurisprudenza con la passione per il giornalismo, con la voglia di raccontare e di scrivere le storie di chi non può difendersi da solo.
La mamma di Sara è venuta in Italia negli anni ’70 per lavorare, aveva poco più di vent’anni. Ha trovato lavoro presso una famiglia italiana e quando è nata Sara anche lei ha vissuto lì. “Erano persone gentili, gli volevo bene, però ad esempio mamma non poteva cucinare i piatti tipici eritrei perché il profumo delle spezie dava fastidio, oppure mi sentivo dire che era meglio se tenevo i capelli lisci, perché più ordinati. Poi però mi sono resa conto che i capelli afro erano parte di me e ho deciso di liberarli.”
Sara è in cerca di una sua identità: “Mi sento un ibrido, sono nata e cresciuta in Italia con la cultura occidentale, ma ho la pelle nera e parlo il tigrino anche se in modo buffo per cui sento di appartenere anche ad una cultura diversa”.
È stata influenzata da entrambe le culture, ma la sua identità va ben oltre un fatto culturale: sin da piccola si arrabbiava davanti alle ingiustizie verso gli immigrati in questura, ed ama l’Italia ma allo stesso tempo non sopporta che non si prenda le proprie responsabilità come colonizzatore dell’Eritrea.
Sara oltre a scrivere, disegna e dipinge, ma solo quando è arrabbiata, non è una cosa che programma, le viene di getto, come uno sfogo, ” per questo non dipingo mai quando sono felice”
Del paese di origine della madre adora lo zighinì, ricetta tipica eritrea, si tratta di un piatto unico e completo poiché viene servito su forme di pane enjera con sopra dello spezzatino di pollo o manzo, della verdura cotta e legumi vari e dell’insalata fresca. A Sara piace non solo per il suo gusto, ma anche perché si mangia con le mani tutti riuniti davanti un unico piatto ed il contatto con le persone è la cosa più importante.
Amarilda Dhrami
(8 settembre 2016)