Ottobre africano: piatti e storie dal mondo

ottobre africano

Sabato 1 ottobre il Giakis di via Po è una distesa colorata di piatti speziati. L’ingresso alla cena è su prenotazione, i cuochi sono schierati dietro il tavolo e raccontano i loro piatti, pronti per essere giudicati dal pubblico in una gara di cucina decisamente sui generis.

L’Ottobre Africano esplode nel II Municipio e raccoglie sapori e storie: alla fine della serata a trionfare sarà la cucina dominicana, e con lei le sue protagoniste. Mildred Alvarez è bartender e parte della Promueve RD, associazione che porta in Italia cultura e sapori della Repubblica Dominicana: “tante persone che si sono trasferite in Italia hanno bisogno di sentirsi  a casa” spiega, “è importante portare qui i sapori della nostra terra”.

Una delle cuoche dominicane della serata è Josehally Martinez Adames, detta Joxi. Presenta al pubblico romano il suo moro de guandules, un piatto a base di riso e piselli tipici della cucina dominicana, servito con del pesce al cocco. Quando parla di come a iniziato a cucinare le si illuminano gli occhi: “ho cominciato insieme a mia nonna, che gettava via i resti e me li faceva rielaborare sulla stufa a carbone”. Quando la nonna ha un infarto, Joxi a soli nove anni ed è costretta a fare le sue veci in casa: “sono rimasta da sola con gli altri nipoti, e per farli mangiare ho cucinato il moro de zucca, un piatto fatto di zucca, riso e fagioli. Ho cotto un’enorme quantità di riso sulla stufa a carbone: da lì è iniziato tutto”.

La mamma di Joxi è in Italia già da qualche anno, e quando lei la raggiunge decide di tentare una strada diversa da quella della cucina: “per otto anni ho lavorato come parrucchiera” racconta. Tra un taglio e una piega, Joxi non abbandona il suo sogno e approfitta del piccolo locale aperto dalla cugina, El bananito jugeria, per mettersi alla prova: “ci lavoravo la domenica, portando piatti già cucinati da casa: si faceva ristorazione fino alle 5 del mattino e c’era sempre la fila”. Dopo qualche tempo il locale è diventato suo e a preso il suo nome: “l’ho chiamato El bananito de Joxi, ma ora è chiuso. Spero di poter aprire presto un nuovo locale”. Cosa ha imparato dalla sua esperienza di cuoca dominicana in Italia? Joxi ride e risponde, senza dubbi: “che le donne mangiano più piccante degli uomini, ad esempio”.

Mildred Alvarez
Mildred Alvarez, bartender e rappresentante di Promueve RD, associazione che promuove la cultura e la cucina della repubblica Dominicana a Roma

Tra le tante cucine dal mondo non manca neppure quella albanese. Fioralba Duma è figlia di Mimosa, che partecipa alla gara. È in Italia da 15 anni: “sono venuta qui con la mia famiglia perché mio padre è pittore e in Italia si apprezza l’arte”. Cos’ha di tipico la cucina albanese? Secondo Fioralba, il connubio strettissimo fra cibo e ospitalità: “in Albania si dice siamo poveri, ma abbiamo pane, sale e cuore. Il pane per noi è il cibo, mentre il sale è il sapore. Il dovere dell’albanese è sempre ospitare: si dice che la casa è dell’ospite”.

Dell’Italia l’ha sempre stupita il fatto che non si abbia un piatto unico: “noi mangiamo in stile orientale, tutto contemporaneamente. Non abbiamo distinzione fra primo, secondo e contorno”. Fioralba è un’attivista di seconda generazione: “partecipo a Questa è Roma, faccio il possibile per far conoscere la cultura albanese qui in Italia”.

img_5234C’è anche chi alterna musica e fornelli: è il caso di Luca Neves, 27 anni, capoverdiano  conosciuto anche come Fat Negga: “oltre a cuoco, sono rapper. Per me non esiste cucina senza musica, e viceversa”. Una storia personale piuttosto complessa, la sua, anche se Luca in Italia ci è nato: “sono cresciuto in un quartiere di periferia decisamente di destra. Nei primi anni ho avuto problemi nel farmi accettare, ma ora tutti mi portano in palmo di mano”. La cosa che lo turba maggiormente è il pregiudizio sul suo accento “misto” – anche se quasi impercettibile – ma soprattutto sulla sua presunta incapacità di essere romano al 100%: “mi dicono che non posso saper fare la carbonara. Ma perché, se sono nato e cresciuto qui?”.

In casa parla e cucina sia capoverdiano che italiano, e piuttosto che una mancanza, questo è un arricchimento. I genitori di Luca in Italia ci sono dal ’65, ma questo non è bastato per ottenere la cittadinanza a 18 anni: “ho avuto problemi nel fare i documenti e mi hanno dato il foglio di espatrio: questa è una cosa che psicologicamente ti devasta” racconta. Eppure Luca ha scelto di alzare la testa e guardare avanti: fra un rinnovo e l’altro del permesso di soggiorno oggi insegna alle persone a cucinare con quello che hanno nel frigo. “Ho inventato un format di cucina che si chiama Kitchen Survivor” racconta. E il nome richiama la sua doppia identità, di cuoco e rapper, di italiano e di capoverdiano: Chef Negga, per servirvi.

Veronica Adriani

(12 ottobre 2016)

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